TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA 
                         Sezione XVI Civile 
 
 
                           in funzione di 
 
 
             Sezione specializzata in materia di impresa 
 
    Il  Tribunale,  in  composizione  collegiale  nelle  persone  dei
magistrati: 
        dott. Stefano Cardinali Presidente; 
        dott. Francesco Remo Scerrato Giudice; 
        dott.ssa Cecilia Bernardo Giudice relatore; 
    ha emesso la seguente ordinanza nelle cause  civili  di  I  grado
iscritte rispettivamente al n.  16617  del  ruolo  generale  per  gli
affari contenziosi dell'anno 2013 ed al n. 20740 del  ruolo  generale
per gli affari contenziosi dell'anno 2014,  trattenute  in  decisione
all'udienza del 10 luglio 2018 e vertenti tra: 
        Eurolink S.c.p.a., 
        Impregilo S.p.a., quale mandataria dell'ATI  con  le  imprese
Sacyr  S.a.,  Societa'  Italiana   per   Condotte   D'Acqua   S.p.a.,
Cooperativa Muratori & Cementisti - CMC di Ravenna Soc.coop. a  r.l.,
Ishikawajima - Harima Heavy Industries  CO.  Ltd.,  Argo  Costruzioni
Infrastrutture S.c.p.a. Consorzio stabile), 
    elettivamente domiciliate in Roma, via  degli  Scipioni  n.  288,
presso lo studio degli avv.ti Giuseppe Giuffre',  Benedetto  Giovanni
Carbone e Giampiero Fumel, che le rappresentano e difendono in virtu'
di procura a margine dell'atto di citazione - Attrici 
    e: 
        Stretto di Messina S.p.a. in liquidazione, 
    elettivamente domiciliata in Roma,  via  Barnaba  Oriani  n.  32,
presso lo studio dell'avv. Massimo  Zaccheo,  che  la  rappresenta  e
difende, unitamente e disgiuntamente all'avv. Marco Annoni, in virtu'
di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta. 
        Presidenza del Consiglio dei ministri, 
        Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, 
    rappresentati e  difesi  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,
presso i  cui  uffici  in  Roma,  via  dei  Portoghesi  n.  12,  sono
domiciliati ex lege - Convenuti 
    nonche': 
        Sacyr Construccion Sau (gia' Sacyr S.A.), 
        Societa' italiana per condotte d'acqua S.p.a., 
        Cooperativa Muratori & Cementisti - CMC di Ravenna  soc.coop.
a r.l., 
        Ishikawajima - Harima Heavy Industries CO. LTD., 
        Argo Costruzioni infrastrutture S.C.P.A. Consorzio stabile, 
    elettivamente domiciliate in Roma, via  degli  Scipioni  n.  288,
presso lo studio degli avv.ti Giuseppe Giuffre',  Benedetto  Giovanni
Carbone e Giampiero Fumel, che le rappresentano e difendono in virtu'
di procura a margine della comparsa  di  costituzione  e  risposta  -
Chiamate in causa 
    e tra: 
        Parsons transportation group Inc., 
    elettivamente domiciliata in Roma, viale di Villa Massimo n.  57,
presso lo studio degli avv.ti Alfredo  Lucente,  Guido  Brocchieri  e
Matteo Bordoni, che la rappresentano e difendono in virtu' di procura
notarile in atti - Attrice 
    e: 
        Stretto di Messina S.p.a. in liquidazione, 
    elettivamente domiciliata in Roma,  via  Barnaba  Oriani  n.  32,
presso lo studio dell'avv. Massimo  Zaccheo,  che  la  rappresenta  e
difende, unitamente e disgiuntamente all'avv. Marco Annoni, in virtu'
di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta. 
        Presidenza del Consiglio dei ministri, 
        Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, 
    rappresentati e  difesi  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,
presso i  cui  uffici  in  Roma,  via  dei  Portoghesi  n.  12,  sono
domiciliati ex lege - Convenuti 
 
                       Premesso in fatto che: 
 
    Con  atto  di  citazione,  ritualmente  notificato,  la  Eurolink
S.c.p.a. e la Impregilo S.p.a.  (quale  mandataria  dell'ATI  con  le
imprese Sacyr S.a., Societa' Italiana per  Condotte  D'Acqua  S.p.a.,
Cooperativa Muratori & Cementisti - CMC di Ravenna Soc.coop. a  r.l.,
Ishikawajima - Harima Heavy Industries  CO.  Ltd.,  Argo  Costruzioni
Infrastrutture S.c.p.a. Consorzio stabile) convenivano in giudizio la
Stretto di Messina Spa., la Presidenza del Consiglio dei Ministri  ed
il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, esponendo che: 
        la Legge n. 1158 del 17 dicembre 1971 aveva dichiarato «opera
di prevalente interesse nazionale» il collegamento stabile  viario  e
ferroviario fra la Sicilia ed il continente; 
        per lo studio, la progettazione e la costruzione, nonche' per
l'esercizio del predetto collegamento, le citata legge aveva previsto
l'affidamento in concessione ad una societa' strumentale, interamente
pubblica, allo scopo costituita in data 11 giugno 1981  e  denominata
Stretto di Messina spa., i cui  attuali  azionisti  erano  Anas  (con
l'81,848%), RFI spa. (con il  13%),  la  Regione  Siciliana  (con  il
2,576%), la Regione Calabria (con il 2,576%); 
        in data 27 dicembre 1985, la concessione era stata  assentita
alla suddetta societa' e, successivamente, il CIPE aveva inserito  il
Ponte nel programma delle opere di preminente interesse nazionale; 
        la legge n.  1158  del  1971,  come  modificata  dal  decreto
legislativo. n. 114 del 2003, nel confermare in capo alla Stretto  di
Messina  spa.  la  qualifica  di   concessionario   ex   lege   della
realizzazione  del  Ponte  e  della  gestione  e   manutenzione   del
collegamento  viario,  aveva  disposto  l'assunzione  da  parte   del
Ministero delle infrastrutture e  dei  trasporti  della  funzione  di
concedente nei rapporti con la societa' concessionaria; 
        con  delibera  n.  66  dell'1  agosto  2003,  il  Cipe  aveva
approvato il progetto  preliminare  dell'intervento  e,  in  data  30
dicembre 2003, il Ministero e la societa'  Stretto  di  Messina  spa.
avevano  sottoscritto  la  convenzione  n.  3077/2003,  regolante   i
reciproci rapporti, modificata ed integrata con  Atti  aggiuntivi  in
data 25 febbraio 2004 e 30 novembre 2009 ed approvata con la Legge n.
191/2009 (art. 2, comma 205); 
        con bando pubblicato il 15 e 16 aprile 2004,  la  Stretto  di
Messina spa. aveva indetto una gara per  l'affidamento  a  Contraente
Generale, ai sensi della Legge n. 443/2001 e del decreto  legislativo
190/2002,  della  progettazione  definitiva  ed  esecutiva  e   della
realizzazione  del  predetto  collegamento   viario   e   ferroviario
comprensivo di tutte le attivita' correlate; 
        in   data   24   novembre   2005   era    stata    deliberata
l'aggiudicazione definitiva della gara in favore  della  Associazione
Temporanea di Imprese tra la capogruppo mandataria Impregilo  spa.  e
le mandanti Sacyr Sa., Societa' Italiana Per Condotte  D'Acqua  spa.,
Cooperativa Muratori & Cementisti-C.M.C. di Ravenna Soc.Coop. a r.l.,
Ishikawajima-Harima  Heavy  Industries  CO.Ltd.,   Argo   Costruzioni
Infrastrutture Scpa. Consorzio Stabile; 
        in data 27 marzo 2006, la Stretto di  Messina  spa.  e  l'Ati
predetta  avevano  stipulato  il  contratto  avente  ad  oggetto   la
realizzazione del maggiore ponte sospeso mai realizzato al mondo, per
un importo pari ad € 3.879.599.733,00; 
        come  previsto  dal  decreto  legislativo  190/2002  e  dalle
pattuizioni contrattuali, le imprese facenti parte  dell'Ati  avevano
costituito in data 5 maggio 2006 una  societa'  dedicata,  denominata
Eurolink Scpa., che era subentrata a tutti gli effetti  nel  rapporto
contrattuale con il committente e che aveva prestato una garanzia  di
circa 240 milioni di euro; 
        per motivazioni in alcun modo ascrivibili alla Eurolink,  per
lungo tempo il contratto non aveva avuto  concreta  attuazione  e  la
realizzazione dell'opera era rimasta sostanzialmente bloccata,  senza
tuttavia che la Stretto di Messina spa. avesse attivato gli strumenti
di legge (art. 134 del decreto legislativo 163/2006)  e  contrattuali
(art.  1671  c.c.)  per  recedere  dal  contratti,   assicurando   al
contraente privato gli indennizzi dovuti; 
        era, quindi, insorta una controversia  tra  le  parti  e,  di
conseguenza, a seguito della riaffermazione  del  Ponte  quale  opera
prioritaria nell'ambito del programma  infrastrutturale  del  Governo
italiano, in data 25  settembre  2009  Stretto  di  Messina  spa.  ed
Eurolink avevano sottoscritto un accordo,  al  fine  di  regolare  le
divergenze insorte e le  conseguenze  del  lungo  periodo  di  stasi,
nonche'  le  attivita'  del  successivo  periodo   di   progettazione
dell'opera; 
        inoltre, anche in modifica alle pattuizioni del contratto del
27 marzo 2006, erano state espressamente previste le conseguenze  del
prolungamento,   oltre   certi   limiti,   della   fase   progettuale
contestualmente avviata,  prevedendo  in  particolare  all'art.  5.2.
dell'accordo che: 
        a)  nel  caso  in  cui  le  procedure   di   approvazione   e
finanziamento del progetto definitivo  da  redigersi  dal  Contraente
Generale si fossero prolungate per oltre 540  giorni  dalla  consegna
dello stesso, le parti avrebbero potuto  chiedere  la  revisione  del
contratto; 
        b) in caso di  mancato  accordo  nel  termine  successivo  di
trenta giorni, ciascuna parte avrebbe potuto recedere  dal  contratto
con il pagamento al Contraente Generale delle prestazioni rese, delle
spese sostenute e di quelle da sostenersi  per  lo  smobilizzo  delle
attivita', nonche' di un indennizzo per  la  perdita  del  contratto,
pari al 5% dell'importo risultante dal progetto definitivo  diminuito
di un quinto; 
        successivamente, il contratto era stato adempiuto  dalle  due
parti ed erano stati sottoscritti un Addendum  il  21  dicembre  2009
(riguardante la cd. Variante di Cannitello) ed alcuni atti aggiuntivi
in data 10 settembre 2010, 27  maggio  2011,  21  giugno  2011  e  13
febbraio 2012; 
        il  Contraente  Generale  aveva  nel  frattempo  ultimato  il
Progetto  definitivo  dell'opera,  che  era  stato  consegnato  dalla
Eurolink  il   12   aprile   2011,   approvato   dal   Consiglio   di
amministrazione della Stretto di Messina spa. in data 29 luglio  2011
e,  successivamente,  sottoposto  alla  procedura   di   approvazione
prevista  dall'art.  166  del  decreto  legislativo  163/2006  e  del
contratto; 
        proprio in tale fase, pero', lo Stato italiano  aveva  deciso
con provvedimenti di legge e delibere Cipe  di  azzerare  le  risorse
necessarie alla realizzazione  dell'Opera,  omettendo  nuovamente  di
attivare gli strumenti previsti  dalla  legge  e  dal  contratto  per
recedere  dallo   stesso,   al   fine   di   evitare   il   pagamento
dell'indennizzo; 
        in particolare, in  data  3  ottobre  2012,  era  scaduto  il
termine di 540 giorni previsto dagli accordi contrattuali  senza  che
il progetto dell'opera fosse stato approvato e finanziato dallo Stato
italiano; 
        di conseguenza, la Eurolink - considerato che la approvazione
del progetto da  parte  del  Cipe  non  appariva  ne'  imminente  ne'
prossima a causa della necessita' di ridefinire  il  piano  economico
finanziario dell'opera - aveva chiesto formalmente  alla  Stretto  di
Messina spa la revisione delle condizioni contrattuali,  con  lettera
del 4 ottobre 2012; 
        sicche', non essendo stata  convenuta  alcuna  revisione  del
contratto e non avendo il committente acquisito le risorse necessarie
a realizzare l'opera, in data 3 novembre 2012 il Contraente  Generale
aveva  maturato  il  diritto  di  recedere  dal  contratto  ai  sensi
dell'art. 5.2 dell'Accordo con il pagamento di quanto ivi previsto  e
pattiziamente concordato; 
        tuttavia, in data 2 novembre 2012 (e quindi un  giorno  prima
della scadenza del termine contrattuale  che  consentiva  il  recesso
della Eurolink alle predette condizioni), il Governo  italiano  aveva
emesso un provvedimento legislativo di urgenza (D.L. 2 novembre  2012
n. 187), entrato in vigore il medesimo giorno,  con  il  quale  aveva
inteso modificare d'imperio i patti contrattuali; 
        in  particolare,  premessa  la  straordinaria  necessita'  ed
urgenza  di  garantire,  in  considerazione  dell'attuale  stato   di
tensione nei mercati finanziari internazionali, la verifica, a tutela
della finanza pubblica,  della  sostenibilita'  del  piano  economico
finanziario del collegamento stabile viario e ferroviario tra Sicilia
e Continente, il DL citato aveva disposto: 
        a) la sospensione del contratto dal 2 novembre 2012  sino  al
reperimento della copertura finanziaria degli interventi da compiere,
per un periodo stimabile in circa due anni ma prorogabile; 
        b)  la  esclusione  nel  periodo  di  sospensione   di   ogni
compenso/ristoro per gli oneri a carico del Contraente Generale e  di
ogni adeguamento monetario del prezzo; 
        c)  la  caducazione  del  contratto  in   caso   di   mancato
reperimento di un finanziatore privato dell'opera, ovvero qualora  il
governo italiano non avesse ritenuto di  dar  corso  all'opera  o  il
Contraente  Generale  non  avesse  accettato  le  modificazioni   del
contratto  dettate  per  legge,  mediante  la  sottoscrizione  di  un
apposito Atto aggiuntivo entro l'1 marzo 2013; 
        in tutti i suindicati casi di caducazione del  contratto,  il
decreto legge riconosceva  solo  il  corrispettivo  per  il  progetto
redatto, aumentato del 10%, ma nulla per le spese sostenute a  titolo
diverso e nulla a titolo di indennizzo pattuito del 5% per il caso di
mancata  o  ritardata  approvazione  o  finanziamento  dell'opera   e
conseguente recesso di una delle due parti; 
        in  realta',  le  disposizioni  del  suddetto  decreto  legge
avevano il solo fine di sospendere gli effetti del  contratto  valido
ed efficace tra le parti e di imporre alla parte privata una modifica
unilaterale dei contenuti contrattuali,  costringendo  il  contraente
privato ad una risoluzione senza indennizzo; 
        infatti,   il    committente,    anziche'    dichiarare    la
irrealizzabilita' dell'opera ed esercitare il recesso  dal  contratto
per fatto proprio, aveva di fatto aggirato norme e principi  generali
ed  i  patti  contrattuali,  assicurandosi  -  con  un  comportamento
contrario a buona fede - una posizione di indebito vantaggio; 
        a fronte di tale sopruso, la Eurolink non  poteva  far  altro
che rispondere esercitando il recesso e, pertanto, con nota prot.  n.
00774 del 10 novembre 2012, aveva contestato la inapplicabilita' e la
non opponibilita' del decreto al Contraente Generale  chiedendone  la
disapplicazione ed aveva comunicato il proprio recesso dal contratto,
ai sensi dell'art. 5.2 dell'Accordo del 25 settembre 2009,  chiedendo
il pagamento di quanto dovuto; 
        con la nota prot. 0908 del 19 novembre 2012,  la  Stretto  di
Messina  spa.  aveva  contestato  la  validita'  ed   efficacia   del
dichiarato recesso del Contraente Generale, sostenendo che il termine
di cui all'art. 5.2 dell'Accordo non era utilmente decorso (stante la
richiesta di integrazioni progettuali di carattere ambientale) e  che
le disposizioni del decreto legge  in  ogni  caso  precludevano  alla
Eurolink l'esercizio del diritto di recesso; 
        successivamente, le disposizioni di cui al  DL.  n.  187/2012
erano state recepite (art. 34-decies)  in  sede  di  conversione  del
decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179 (cd. decreto sviluppo bis),  sul
quale il Governo  aveva  posto  la  questione  di  fiducia  ed  aveva
ottenuto l'approvazione e la conversione nella Legge n. 221/2012; 
        sicche', con ricorso notificato in data 19 dicembre 2012,  le
societa' Eurolink ed Impregilo avevano impugnato dinanzi al Tar Lazio
gli atti ed i provvedimenti assunti dalla Stretto di Messina  spa.  e
dal Ministero  delle  Infrastrutture  in  applicazione  delle  citate
disposizioni  normative,   con   finalita'   meramente   cautelativa,
ritenendo sussistente la giurisdizione del giudice ordinario; 
        come era evidente, la realizzazione dell'opera non era  stata
avviata in  quanto  la  parte  pubblica  aveva  distolto  le  risorse
finanziarie occorrenti a tal fine; 
        era pertanto interesse della Eurolink ottenere l'accertamento
e  la  dichiarazione  della  validita'  ed  efficacia   del   recesso
esercitato in data 10 novembre 2012. Infatti, ai sensi dell'art.  5.2
dell'Accordo del 25 settembre 2009, in caso di  mancata  o  ritardata
approvazione del progetto definitivo dell'opera intera da  parte  del
CIPE entro 540 giorni dalla consegna del progetto stesso a Stretto di
Messina,  ovvero  in  caso  di  mancata  approvazione  del   progetto
esecutivo dell'opera intera  da  parte  di  Stretto  di  Messina  con
conseguente mancato inizio dei lavori per  cause  non  imputabili  ad
Eurolink, le parti si sarebbero dovute  incontrare  per  valutare  in
buona fede le cause del ritardo  e  rivedere  di  comune  accordo  le
condizioni contrattuali ed il programma di realizzazione  dell'opera;
in caso di mancato  accordo  entro  trenta  giorni  dalla  richiesta,
entrambe le parti potevano recedere dal contratto e sarebbe stato  in
ogni caso riconosciuto ad Eurolink  il  pagamento  delle  prestazioni
rese e delle spese sino a quel momento sostenute, nonche'  quelle  da
sostenere  per  la  smobilitazione  delle  attivita',  oltre  ad   un
indennizzo  per  la  perdita  del  contratto  nella  misura  del   5%
dell'importo risultante dal  progetto  definitivo,  diminuito  di  un
quinto; 
        orbene,  il  progetto   definitivo   dell'opera   era   stato
consegnato alla Stretto di Messina spa. in data  13  aprile  2011  e,
pertanto, il termine di 540 giorni era venuto a scadere il 3  ottobre
2012, ma entro tale termine non aveva  ricevuto  la  approvazione  da
parte del Cipe; 
        poteva, dunque, ritenersi sussistente l'ipotesi di "mancata o
ritardata" approvazione ai  sensi  dell'art.  5.2  dell'Accordo,  che
ricollegava le conseguenze  ivi  previste  (tra  cui  il  diritto  di
recesso ed i corrispondenti indennizzi) al semplice  e  vano  decorso
del termine di 540 giorni; 
        la   pattuizione    contrattuale    prescindeva    totalmente
dall'indagine  in  ordine  alle   possibili   cause   della   mancata
approvazione del progetto  da  parte  del  Cipe,  che  infatti  erano
disciplinate  altrove  nel  contratto,  con  specifiche   e   diverse
conseguenze; 
        era quindi  pretestuosa  la  affermazione  della  Stretto  di
Messina spa., la quale - nella nota prot. 0908 del 19 novembre 2012 -
aveva sostenuto che il termine fissato all'art. 5.2 dell'Accordo  non
poteva  intendersi  decorso,  stante  la  intervenuta  richiesta   di
integrazioni progettuali di carattere  ambientale  nell'ambito  della
procedura approvativa da parte del Cipe; 
        in realta', la stasi del procedimento  approvativo  risiedeva
nella  necessita'  di  ridefinire  il  piano  economico   finanziario
dell'opera  e  nella  assoluta  mancanza  delle  occorrenti   risorse
finanziarie da parte del Committente, cio' rendendo  impossibile  per
la  Stretto  di  Messina  spa.  concordare  la  revisione  dei  patti
contrattuali, come diligentemente richiesto dalla Eurolink  con  nota
del 4 ottobre 2012; 
        la mancata esecuzione del contratto,  quindi,  era  dovuta  a
fatto e volonta' della parte pubblica ed  il  contraente  privato  la
aveva unicamente subita; 
        parimenti non poteva  ritenersi  invalido  il  recesso  della
Eurolink a seguito della  entrata  in  vigore  dell'art.  1  del  DL.
187/2012, in quanto la norma non privava  le  parti  del  diritto  di
recedere dal contratto, avendo piuttosto  la  finalita'  di  impedire
l'adempimento   del   contratto    alle    condizioni    contrattuali
originariamente   stabilite,   imponendo   una   nuova   e    diversa
regolamentazione deteriore per il contraente privato; 
        infatti, la  sospensione  degli  effetti  del  contratto  non
poteva essere riferita anche all'esercizio del diritto di recesso  e,
in caso contrario, la norma in esame doveva  essere  disapplicata  in
quanto contrastante con i principi generali del  diritto  dell'Unione
europea in materia di legittimo  affidamento  e  della  certezza  del
diritto (artt. 49, 56 e 63  TFUE),  con  i  principi  in  materia  di
aggiudicazione degli appalti pubblici e di  leale  collaborazione  ed
infine con gli artt.  3,  24,  41,  42,  43,  97,  113  e  117  della
Costituzione; 
        Eurolink aveva,  pertanto,  diritto  agli  indennizzi  ed  ai
rimborsi previsti dall'art. 5.2 dell'Accordo del 25  settembre  2009,
ma aveva anche diritto ad ottenere l'ulteriore risarcimento dei danni
per aver perduto senza colpa la possibilita' di realizzare l'opera  e
di conseguire  l'utile  da  essa  derivante  e  per  aver  continuato
inutilmente a sostenere ingenti costi ed oneri nella commessa; 
        del resto, l'indizione di una gara, quale quella promossa dal
concessionario  Stretto  di  Messina,  implicava  responsabilita'   e
determinava aspettative in capo all'aggiudicatario che  non  potevano
essere  cancellate  arbitrariamente  per   mutamenti   di   indirizzo
politico, del tutto estranei agli elementi del contratto; 
        difatti, a fronte della decisione  di  non  dare  piu'  corso
all'opera, l'unica strada  percorribile  per  il  concessionario  era
quella  del  recesso  dal  contratto,  con  conseguente  obbligo   di
pagamento dei  dovuti  indennizzi  e  rimborsi.  Tale  soluzione  era
prevista in via generale dall'art. 1671  c.c.  e  dall'art.  134  del
decreto legislativo 163/2006, nonche'  dallo  stesso  art.  43.1  del
contratto del 27 marzo 2006; 
        invece,  con  comportamento  contrario  a  buona   fede,   il
concessionario aveva  preferito  far  morire  l'operazione,  privando
l'opera delle risorse finanziarie occorrenti, al fine di  evitare  il
pagamento degli importanti indennizzi contrattualmente previsti, cio'
risultando dimostrato dal contenuto del DL. 187/2012,  convertito  in
legge  attraverso  il  surrettizio  inserimento  di  un   emendamento
governativo al DL. 179/2012 (con l'introduzione dell'art.  34-decies)
in sede  di  conversione,  ottenuta  attraverso  la  richiesta  della
fiducia al Governo e quindi  senza  alcun  esame  parlamentare  della
norma; 
        peraltro,  indipendentemente  dal  recesso  esercitato  dalla
Eurolink, il decreto legge prevedeva in ogni caso la caducazione  del
contratto in un termine che sarebbe andato a scadere alla data dell'1
marzo 2013. Tuttavia tale caducazione era da  considerarsi  priva  di
efficacia, riguardando un contratto  non  piu'  vigente  per  effetto
dell'intervenuto recesso.-Premesso  cio',  le  societa'  Eurolink  ed
Impregilo cosi' concludevano: 
1. in via principale: 
    a) accertare e dichiarare la validita' ed efficacia  del  recesso
esercitato da Eurolink con nota prot. 00774 del 10 novembre 2012, dal
Contratto in  data  27  marzo  2006  e  successivi  accordi  ed  atti
aggiuntivi, di cui in narrativa, per  l'esecuzione  del  Ponte  sullo
Stretto di Messina, previa eventuale disapplicazione, nei  limiti  in
cui cio' sia ritenuto necessario, delle norme di cui al D.L. 187/2012
come sostituite dall'art. 34-decies del D.L. 18 ottobre 2012 n.  179,
inserito in sede di conversione dalla L. n. 221 del 17 dicembre 2012,
previa eventuale sottoposizione di domanda di pronuncia pregiudiziale
alla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai  sensi  dell'art.  267
TFUE o in subordine previa sottoposizione alla  Corte  Costituzionale
della questione di illegittimita' costituzionale ai  sensi  dell'art.
23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    per l'effetto condannare Stretto di Messina  S.p.A.  e  le  altre
amministrazioni convenute, in solido fra loro o ciascuna  per  quanto
di ragione, all'integrale ristoro di tutti  i  compensi,  indennizzi,
costi ed oneri indicati nell'art. 5.2 dell'Accordo del  25  settembre
2009 per gli importi complessivi di: 
        € 300.909.643,02, per attivita' prestate e spese sostenute  e
indennizzo dovuto, come dettagliate in narrativa, ovvero la  maggiore
o minore  somma  ritenuta  di  giustizia,  da  determinarsi  in  sede
istruttoria oppure, ove occorra, anche in  via  equitativa  ai  sensi
dell'art. 1226 del codice civile, oltre interessi legali  e  moratori
come indicati in narrativa ovvero  secondo  i  criteri  che  verranno
ritenuti di giustizia; 
        € 249.045,23/mese per spese di smobilizzo societario,  ovvero
la maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, da determinarsi  in
sede istruttoria oppure, ove occorra,  anche  in  via  equitativa  ai
sensi dell'art. 1226 del codice civile, oltre interessi come indicati
in narrativa ovvero  secondo  i  criteri  che  verranno  ritenuti  di
giustizia. 
    Il tutto oltre IVA come nelle misure di legge. 
    b)  condannare  inoltre  Stretto   di   Messina   S.p.A.   e   le
amministrazioni convenute, in solido fra loro o ciascuna  per  quanto
di ragione, in dipendenza della mancata esecuzione del Contratto  per
volonta' della parte pubblica committente  di  non  dare  corso  alla
realizzazione dell'opera o comunque per fatto ad essa ascrivibile, al
pagamento dei seguenti importi complessivi di: 
        € 329.721.360,00,  come  indicata  nel  precedente  paragrafo
V.1.2, a titolo di indennizzo dovuto, ovvero  la  maggiore  o  minore
somma ritenuta di giustizia,  da  determinarsi  in  sede  istruttoria
oppure, ove occorra, anche in via equitativa ai sensi dell'art.  1226
del codice civile, oltre interessi legali e moratori come indicati in
narrativa  ovvero  secondo  i  criteri  che  verranno   ritenuti   di
giustizia; 
        l'ulteriore importo per spese, maggiori oneri e danni  subiti
e subendi da Eurolink e dai propri soci, da accertarsi  in  corso  di
causa ed ove occorra da determinarsi anche in via equitativa ai sensi
dell'art. 1226 del codice civile, oltre rivalutazione ed interessi. 
    Il tutto oltre IVA come nelle misure di legge. 
2. In via subordinata: 
    per l'eventualita'  che  il  Tribunale  non  ritenesse  valido  o
efficace il  recesso  espresso  da  Eurolink,  accertare  comunque  e
dichiarare la risoluzione del contratto per fatto e  colpa  di  parte
committente, Stretto di Messina S.p.A. e con essa la «parte pubblica»
unitariamente considerata, anche  previa  eventuale  disapplicazione,
nei limiti in cui cio' sia ritenuto necessario, delle norme di cui al
D.L. 187/2012 come sostituite dall'art. 34-decies del D.L. 18 ottobre
2012 n. 179, inserito in sede di conversione della L. n. 221  del  17
dicembre  2012,  previa  eventuale  sottoposizione  di   domanda   di
pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia  dell'Unione  europea
ai sensi dell'art. 267 TFUE o in subordine previa sottoposizione alla
Corte Costituzionale della questione di illegittimita' costituzionale
ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    per l'effetto condannare  i  convenuti,  in  solido  tra  loro  o
ciascuno per quanto di ragione, al pagamento: 
        a) del  lucro  cessante  determinato  dalla  risoluzione  del
contratto, per l'ammontare di € 549.535.600,00 ovvero la  maggiore  o
minore  somma  ritenuta  di  giustizia,  da  determinarsi   in   sede
istruttoria oppure, ove occorra, anche in  via  equitativa  ai  sensi
dell'art. 1226 del codice civile; 
        b) del danno emergente, costituito: 
          b.1) dalle spese tutte sostenute e sostenende da  Eurolink,
pari alla complessiva somma di €  37.811.836,86+19.351.877,18,  oltre
interessi,  per  spese  sostenute  ed  €  249.045,23  mensili,  oltre
interessi, per €  1.093,72/mese,  per  spese  da  sostenersi  per  lo
smobilizzo della Societa', ovvero la maggiore o minore somma ritenuta
di  giustizia,  da  determinarsi  in  sede  istruttoria  oppure,  ove
occorra, anche in via equitativa ai sensi dell'art. 1226  del  codice
civile; b.2) dalle  ulteriori  spese,  oneri  e  danni  a  carico  di
Eurolink e delle imprese aggiudicatarie, da quantificare in corso  di
giudizio; 
        c) a titolo di restituzione,  del  valore  delle  prestazioni
rese - relative in particolare al progetto  definitivo  e  ai  lavori
della Variante di Cannitello - nell'ammontare del valore  di  mercato
delle stesse, da quantificare in corso di giudizio  ed  al  netto  di
quanto ricevuto a titolo di acconto. 
    Il tutto oltre IVA come nelle misure di legge. 
3. In via ulteriormente subordinata: 
        per  l'eventualita'  in  cui   il   Tribunale   non   ritenga
sussistenti i presupposti non solo per il recesso, ma  anche  per  la
dichiarazione di risoluzione del contratto per fatto e per colpa  del
committente, accertare e  dichiarare  che  il  contratto  e'  tuttora
vigente e  che  i  convenuti  sono  obbligati  all'adeguamento  dello
stesso, anche previa eventuale disapplicazione,  nei  limiti  in  cui
cio' sia ritenuto necessario, delle norme di  cui  al  D.L.  187/2012
come sostituite dall'art. 34-decies del D.L. 18 ottobre 2012 n.  179,
inserito in sede di conversione della L. n. 221 del 17 dicembre 2012,
previa eventuale sottoposizione di domanda di pronuncia pregiudiziale
alla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai  sensi  dell'art.  267
TFUE o in subordine previa sottoposizione alla  Corte  Costituzionale
della questione di illegittimita' costituzionale ai  sensi  dell'art.
23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; 
        per l'effetto condannare i convenuti  al  risarcimento  delle
spese, oneri e danni tutti indotti dal  ritardato  adempimento  dello
stesso, e pertanto per l'ammontare indicato  al  precedente  punto  2
lett. b.1) e b.2) delle presenti conclusioni; 
        condannare altresi' i convenuti al pagamento del saldo  delle
prestazioni rese e non interamente retribuite pari ad € 21.830.543,40
per le attivita' relative al progetto definitivo  ed  €  2.101.145,58
per i lavori della Variante  di  Cannitello,  ovvero  la  maggiore  o
minore  somma  ritenuta  di  giustizia,  da  determinarsi   in   sede
istruttoria oppure, ove occorra, anche in  via  equitativa  ai  sensi
dell'art. 1226 del codice civile. 
    Il tutto oltre ad IVA nelle misure di legge. 
    - Si costituivano in giudizio la  Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri ed  il  Ministero  delle  Infrastrutture  e  dei  Trasporti,
chiedendo il rigetto delle domande attoree e deducendo che: 
        successivamente alla approvazione da parte della  Stretto  di
Messina spa. del  progetto  definitivo  elaborato  dalla  Eurolink  e
successivamente alla sua  trasmissione  a  tutte  le  amministrazioni
interessate, il Cipe - con delibera n. 6 del 20 gennaio 2012 -  aveva
disposto il pressoche' totale definanziamento del contributo pubblico
per l'opera; 
        cio' si inseriva nel quadro del cambiamento  della  strategia
dei trasporti dell'Unione europea, caratterizzato dal  fatto  che  la
Commissione europea aveva sottoposto  al  Parlamento  europeo  ed  al
Consiglio la proposta di regolamento sullo sviluppo della rete  trans
europea dei trasporti, che non contemplava  piu'  l'opera  del  Ponte
sullo Stretto di Messina; 
        il definanziamento dell'opera trovava  il  proprio  referente
normativo nell'art. 10, comma 2 del D.L. n. 98/2011, convertito nella
legge n. 111/2011, e nell'art. 1,  comma  1  del  D.L.  n.  138/2011,
convertito nella legge n. 148/2011, con cui erano stati rideterminati
gli importi delle riduzioni della spesa in termini di saldo netto  da
finanziare e indebitamento netto per ciascuna  delle  Amministrazioni
centrali per il raggiungimento degli obiettivi programmati di finanza
pubblica; 
        per effetto di tali misure, il Fondo per  lo  sviluppo  e  la
coesione aveva subito un taglio di complessivi € 10.439.963.567 ed il
Cipe aveva quindi dovuto tener conto della sopravvenuta  disposizione
legislativa e delle conseguenti riduzioni; 
        sicche', con la delibera n. 6/2012 erano  stati  definanziati
una serie di interventi, tra  cui  quello  relativo  al  Ponte  sullo
Stretto di Messina per il residuo importo  di  1.287,324  milioni  di
Euro; 
        a sua volta, il definanziamento dell'opera  si  inseriva  nel
quadro della sfavorevole congiuntura economica  a  livello  non  solo
nazionale, ma anche europeo, ponendosi quale contesto  fattuale  alla
base  degli  interventi  normativi  sopravvenuti,   con   particolare
riferimento a quanto disposto dall'art. 34-decies del D.L.  179/2012,
convertito con modificazioni dalla legge n. 221/2012. 
    Cio' premesso in fatto, le Amministrazioni  convenute  eccepivano
preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva,  atteso
che - risultando contestato  l'operato  governativo  relativo  ad  un
intervento normativo - doveva essere  citato  in  giudizio  lo  Stato
Italiano, quale responsabile dell'ordinamento giuridico vigente.  Nel
merito, osservavano che: 
        non poteva  in  alcun  modo  configurarsi  una  questione  di
incompatibilita'  tra  l'art.  1  del  D.L.  n.  187/2012  (poi  art.
34-decies del D.L. 179/2012, convertito con modificazioni dalla legge
n. 221/2012) e l'ordinamento comunitario,  posto  che  la  norma  non
toccava l'ambito di applicazione degli artt. 49, 56 e  63  del  TFUE,
non  ponendosi  in  contrasto  con  le   liberta'   fondamentali   di
stabilimento e di circolazione dei  lavoratori  e  dei  capitali.  La
norma, infatti, non influiva minimamente sulle procedure di  evidenza
pubblica per la scelta del contraente, in relazione alle quali  erano
tutelate le suddette liberta' fondamentali; 
        non risultavano violati  neanche  i  principi  del  legittimo
affidamento e di certezza del diritto, considerato che i  predetti  -
secondo costante giurisprudenza - dovevano  essere  interpretati  nel
senso  che  una  modifica  della  normativa  non  poteva  privare  un
soggetto,  con  effetto  retroattivo,  di  un  diritto  dal  medesimo
acquisito sulla base della normativa precedente. In altre parole,  la
garanzia posava sul rispetto del principio di irretroattivita'  delle
norme giuridiche e giammai poteva essere intesa nel senso di limitare
la potesta' sovrana parlamentare a legiferare per adattare  l'assetto
normativo al mutato contesto economico-sociale.  La  disposizione  in
esame non aveva effetti retroattivi e, pertanto, nessun contrasto era
configurabile; 
        non era possibile riscontrare alcuna violazione dei  principi
comunitari in materia di aggiudicazione degli appalti, atteso che  la
disposizione in esame era destinata  ad  operare  esclusivamente  con
riferimento alla fase di esecuzione del contratto.  Il  principio  di
leale collaborazione, poi, era  finalizzato  a  garantire  la  tutela
giurisdizionale dei diritti spettanti ai singoli in forma delle norme
di diritto comunitario. Tuttavia, nessuna limitazione sussisteva  nel
caso in esame alla tutela giurisdizionale; 
        parimenti,   non   sussisteva   alcun   contrasto   con    la
Costituzione, considerato che la  Corte  costituzionale,  in  analoga
ipotesi,  aveva  gia'  dichiarato  inammissibili  le   questioni   di
legittimita' costituzionale relative agli artt.  70  e  97  Cost.  ed
aveva dichiarato non fondate quelle  relative  agli  artt.  77,  117,
commi 3 e 4, e 118 Cost., ritenendo legittime le disposizioni con cui
era stato revocato il finanziamento ed il contratto di appalto  della
metropolitana di Parma, (sentenza n. 79 del 7/11 marzo 2011); 
        il recesso esercitato dal Contraente Generale con la nota del
10 novembre 2012 ai sensi dell'art. 5.2 dell'Accordo  era  del  tutto
inefficace, in ragione della disciplina di cui all'art. 1 del D.L. n.
187/2012, che aveva sospeso gli effetti del contratto e degli accordi
tra le parti, determinandone poi la caducazione; 
        anche a prescindere dalla citata normativa,  il  recesso  non
poteva comunque dirsi validamente esercitato difettando i presupposti
previsti dal medesimo Accordo, atteso che il termine  di  540  giorni
ivi previsto poteva decorrere solo dal momento  in  cui  il  progetto
definitivo, nella sua  completezza,  poteva  ritenersi  consegnato  e
fosse suscettibile di essere approvato; 
        ed infatti, l'art. 5.2 dell'Accordo  subordinava  l'esercizio
del recesso alle seguenti condizioni: 
        1) mancata o ritardata approvazione del  progetto  definitivo
dell'opera intera da parte del Cipe entro 540 giorni  dalla  consegna
del progetto alla Stretto di Messina spa., ovvero mancata o ritardata
approvazione del progetto esecutivo con  conseguente  mancato  inizio
dei lavori per cause non imputabili ad Eurolink; 
        2) effettuazione di un incontro  tra  le  parti  al  fine  di
rivedere di comune accordo le condizioni contrattuali; 
        3)  mancato  accordo  entro  trenta  giorni  dalla  richiesta
avanzata dalla parte piu' diligente; 
        sicche', non un  qualsiasi  ritardo  nell'inizio  dei  lavori
legittimava il  recesso,  ma  solo  quello  avvenuto  per  cause  non
imputabili al Contraente Generale, in quanto il termine di 540 giorni
era strettamente legato all'inerzia degli organi amministrativi; 
        ogni diversa interpretazione  del  dettato  contrattuale  era
palesemente irragionevole, legittimando la parte attrice  a  recedere
(con conseguente diritto agli indennizzi)  anche  quando  il  mancato
inizio dei lavori  dovuto  alla  mancata  approvazione  del  progetto
definitivo fosse alla medesima imputabile; 
        nel caso in  esame  non  era  assolutamente  ravvisabile  una
inerzia delle Amministrazioni e, comunque, il fattore  economico  non
era  l'esclusiva  ragione  della  stasi   procedimentale,   provocata
piuttosto  da  rilevanti  criticita'  del  progetto  definitivo,  mai
risolte; 
        ricorreva,  inoltre,  nel  caso  in  esame  l'istituto  della
presupposizione, che poteva  configurarsi  quando  le  parti  avevano
inteso stipulare un contratto subordinatamente all'esistenza  di  una
situazione di fatto  considerata  presupposto  imprescindibile  della
volonta' negoziale, la cui mancanza  comportava  la  caducazione  del
contratto stesso,  anche  se  il  fatto  presupposto  non  costituiva
oggetto di specifica regolamentazione; 
        di conseguenza, non poteva  essere  pretesa  l'esecuzione  di
clausole contrattuali alle condizioni originarie qualora i contraenti
avessero stipulato il negozio per il perseguimento di  una  finalita'
da entrambi considerata, anche implicitamente, o comunque nota, ed in
seguito  la  stessa  non  fosse  piu'  perseguibile  in  relazione  a
situazioni di fatto conosciute o verificatesi successivamente; 
        era, pertanto, contrario a buona fede pretendere l'esecuzione
del contratto, pur rendendosi conto delle mutate circostanze,  atteso
che l'opera era stata dichiarata "di prevalente interesse  nazionale"
anche e soprattutto alla luce dell'ampio progetto viario  di  matrice
europea  e  tale  circostanza  era   stata   senz'altro   tenuta   in
considerazione da entrambe le parti contraenti.  Successivamente,  la
sfavorevole congiuntura  economica  e  finanziaria  internazionale  e
l'eliminazione del collegamento con la Sicilia dal  Progetto  europeo
avevano  portato   ad   una   obbligatoria   differente   valutazione
dell'interesse pubblico sotteso alla  realizzazione  dell'opera,  non
piu'  rientrante  tra  le   opere   strategiche,   essendo   divenuto
prioritario per lo Stato  il  dover  fronteggiare  la  situazione  di
crisi; 
        tale circostanza di fatto idonea ad  influenzare  la  vicenda
contrattuale emergeva dallo stesso incipit delle norme legislative  e
faceva venir meno la sostenibilita' economica dell'opera, presupposto
essenziale ed indefettibile. 
    Si costituiva in giudizio la societa' Stretto di Messina spa., la
quale chiedeva il rigetto delle domande attoree, deducendo che: 
        le domande proposte dalla  Eurolink  muovevano  dai  seguenti
presupposti: 
        quanto alla efficacia del recesso, il  presupposto  era  che,
alla data del 4 ottobre 2012, fossero effettivamente trascorsi i  540
giorni previsti  dall'art.  5.2  dell'Accordo,  essendo  il  relativo
decorso completamente indipendente da qualunque circostanza attinente
alla fase approvativa del progetto definitivo presentato; 
        sulla base di tale presupposto, la parte  attrice  ipotizzava
la non opponibilita' alla  comunicazione  di  recesso  degli  effetti
sospensivi derivanti dall'art. 1 del DL n. 187  del  2012  (poi  art.
34-decies), sia in via principale, in  quanto  non  ricompresa  negli
ambiti applicativi della norma, sia in via  subordinata,  in  ragione
della disapplicazione della norma in via diretta dal giudice,  ovvero
a seguito di pronuncia pregiudiziale della  Corte  di  Giustizia  CE,
ovvero per effetto della dichiarazione di incostituzionalita'; 
        quanto al risarcimento del danno derivante dalla decisione di
non  dare  corso  al  contratto,  la  domanda  si  fondava   su   due
presupposti: il disimpegno delle  risorse  pubbliche  precedentemente
impegnate per assistere  il  PEF  Aggiornato  aveva  determinato,  di
fatto,   l'irrealizzabilita'   dell'Opera   (cio'    integrando    un
comportamento dannoso nei confronti della Eurolink); il DL 187/2012 e
l'art. 34-decies erano stati  assunti  con  lo  scopo  di  introdurre
ulteriori elementi di ostacolo alla realizzazione dell'Opera, atti  a
"coprire" la irrealizzabilita' della stessa  per  la  mancanza  delle
risorse pubbliche precedentemente assegnate; 
        le domande erano, pero', infondate, atteso che il citato art.
34-decies muoveva dalla oggettiva constatazione dell'esistenza di una
situazione  del  tutto  eccezionale  che  aveva  colpito  i  "mercati
finanziari internazionali" e che imponeva  "a  tutela  della  finanza
pubblica, particolari esigenze di  tutela  della  sostenibilita'  del
piano economico-finanziario" del  Ponte,  "anche  in  relazione  alle
modalita' di finanziamento previste". Infatti, sia il DL n.  78/2009,
convertito nella Legge n. 122/2009, sia la Legge n. 191/2009, avevano
impegnato lo Stato ad assicurare  risorse  pubbliche  per  circa  2.4
miliardi  di  euro  per  la  realizzazione  dell'opera  e  la   Nuova
Convenzione ed il PEF Aggiornato (entrambi approvati con la Legge  n.
191/2009) prevedevano che le restanti risorse dovevano essere coperte
da finanziamenti da  reperire  dalla  Stretto  di  Messina  spa.  sui
mercati  nazionali  ed  internazionali,  con  obbligo  del   MIT   di
intervenire con contributi pubblici integrativi ove necessario; 
        sussistendo tali impegni a carico della finanza pubblica,  il
legislatore  -  del  tutto  ragionevolmente  -  aveva  valutato   con
preoccupazione  le  condizioni  critiche   dei   mercati   finanziari
internazionali ed al fine di fronteggiare tale situazione  del  tutto
particolare, l'art. 34-decies  aveva  introdotto  una  modifica  alla
procedura approvativa  del  progetto  definitivo  rispetto  a  quanto
indicato per le altre infrastrutture strategiche, prevedendo: 
          a) una prima fase approvativa in linea tecnica del Progetto
Definitivo e dei possibili piani economici finanziari; 
          b) ultimata tale fase, la Stretto di  Messina  spa.  doveva
avviare "le necessarie iniziative per  la  selezione  delle  migliori
offerte di finanziamento dell'infrastruttura  con  capitali  privati"
senza assumere impegni vincolanti. Tale attivita' doveva  concludersi
entro 540 giorni dall'approvazione e,  in  caso  negativo,  la  norma
prevedeva la caducazione sia del contratto,  sia  della  concessione,
stante la riscontrata non realizzabilita' dell'Opera sotto il profilo
finanziario; 
          c) entro il medesimo termine di 540 giorni, il CIPE  doveva
approvare in via  definitiva  il  Progetto  Definitivo,  con  effetti
caducatori in caso di mancata approvazione; 
        sin dall'inizio, dunque, il Ponte era  stato  assoggettato  a
procedure approvative  e  ad  un  regime  economico-finanziario  assi
peculiari, in considerazione del carattere eccezionale  dell'opera  e
della  entita'  dei  mezzi   finanziari   occorrenti   per   la   sua
realizzazione e, pertanto le modifiche introdotte dall'art. 34-decies
si collocavano in tale regime di specialita', pienamente giustificate
dalle contingenze dei mercati finanziari; 
        peraltro, il comma 3 dell'art.  34-decies  aveva  determinato
l'indennizzo da riconoscere al contraente generale per tutti  i  casi
di caducazione del contratto previsti dalla norma stessa:  indennizzo
sostanzialmente equivalente a quello gia' previsto all'art. 44.4  del
contratto per il caso di mancata stipulazione, da parte della Stretto
di Messina spa., dei contratti  diretti  all'acquisizione  dei  mezzi
finanziari  occorrenti  per  la  realizzazione  dell'Opera  (pari  al
pagamento delle prestazioni progettuali contrattualmente previste  ed
eseguite ed una ulteriore somma pari al 10% di tale importo); 
        sicche',  contrariamente  a  quanto  sostenuto  dalla   parte
attrice, la norma non aveva come oggetto diretto la modifica coattiva
della disciplina contrattuale in essere tra  la  Stretto  di  Messina
spa. ed il Contraente Generale, bensi' la modifica  del  procedimento
amministrativo di approvazione del Progetto definitivo del Ponte; 
        tale modifica procedurale trovava la propria  giustificazione
in  "motivi  imperiosi  di  interesse  pubblico"   e   le   modifiche
contrattuali  da  recepire  in  un  Atto  aggiuntivo  lasciato   alla
negoziazione delle Parti da espletare in buona  fede  e  non  imposte
autoritativamente  costituivano  le  necessarie   conseguenze   delle
suddette modifiche procedurali; 
        il recesso  comunicato  dalla  Eurolink  non  era  legittimo,
atteso che: l'art. 34-decies comma  4  disponeva  la  sospensione  di
tutti gli effetti dei contratti, con conseguente  impossibilita'  per
le parti di esercitare a  nessun  titolo  i  diritti  nascenti  dallo
stesso. Tale interpretazione era conforme alla lettera della norma ed
alla sua ratio, volta ad  adeguare  il  contratto  al  mutato  quadro
complessivo; 
        in ogni caso, l'estinzione del rapporto contrattuale - a  far
data dal 2 novembre 2012 e cioe' in data antecedente l'esercizio  del
recesso avvenuto in data 10  novembre  2012  -  impediva  proprio  al
recesso di produrre qualsivoglia effetto; 
        l'art. 1 del DL 187/2012 e successivamente  l'art.  34-decies
della  Legge  di  conversione  n.  221/2012   erano   conformi   alla
Costituzione ed alla normativa comunitaria. In particolare, i diritti
fondamentali sanciti dal TFUE (evocati dalla parte  attrice  in  modo
improprio  e  generico)  non  precludevano  agli  Stati   membri   di
modificare le procedure amministrative interne, al fine  di  renderle
maggiormente coerenti con le mutate esigenze pubbliche. In ogni caso,
sussistevano  le  quattro  condizioni  necessarie  per  la  Corte  di
Giustizia CE per ritenere legittima la limitazione dei diritti stessi
e cioe': l'applicazione non discriminatoria; la sussistenza di motivi
imperiosi  di  interesse  pubblico;  la  idoneita'  a  garantire   il
perseguimento  dello  scopo  previsto;  la   limitazione   a   quanto
necessario per il raggiungimento dello scopo previsto; 
        neppure  poteva  dubitarsi  della  conformita'  delle   norme
suddette alla Costituzione, considerato che la  Corte  Costituzionale
aveva piu' volte affermato che non era interdetto al  legislatore  di
emanare disposizioni tali da modificare in senso  sfavorevole  per  i
beneficiari la disciplina di rapporti di durata,  pur  vertendosi  in
tema  di  diritti  soggettivi  perfetti,  a   condizione   che   tali
disposizioni  non  trasmodassero  in  un   regolamento   irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica; 
        nel caso in esame, la norma non era frutto di  una  decisione
improvvisa ed arbitraria  del  legislatore,  ma  si  inseriva  in  un
contesto   normativo   di   specificita'   proprio   dell'Opera,   in
considerazione della sua enorme rilevanza economica e  finanziaria  e
tenuto conto che la oggettiva situazione di  criticita'  dei  mercati
finanziari avrebbe potuto  arrecare  imprevedibili  effetti  negativi
alla finanza pubblica, bene primario alla cui tutela lo Stato  doveva
provvedere con ogni necessaria modalita'; 
        peraltro, il recesso dichiarato dalla Eurolink  con  la  nota
del 4 ottobre 2012  era  comunque  illegittimo,  non  essendo  ancora
maturate  le  condizioni   previste   dall'art.   5.2   dell'Accordo,
considerato che il decorso del termine  ivi  previsto  poteva  essere
evocato dal Contraente Generale solo qualora la mancata  approvazione
del  CIPE  non  fosse  "in  alcun  modo  riconducibile  a  fatto  del
Contraente Generale"; 
        nel caso in esame, invece, il ritardo nella approvazione  del
Progetto Definitivo era imputabile a  fatto  della  stessa  Eurolink,
costituito dalle riscontrate carenze documentali relative ai  profili
ambientali del Progetto Definitivo; 
        in particolare, la imputabilita' alla Eurolink della  mancata
approvazione del CIPE nel termine previsto dall'art. 5.2 dell'Accordo
non poteva essere contestata, essendo attestata  dalle  richieste  di
integrazione formulate dalla  CVTA,  dalla  ripubblicazione  di  tali
integrazioni e, soprattutto, dal parere negativo espresso  dal  MATTM
nel marzo 2013, che aveva definitivamente accertato la impossibilita'
di approvazione del Progetto Definitivo; 
        ne', del resto, la Eurolink aveva dato prova di  non  essersi
resa responsabile della mancata approvazione del Progetto  Definitivo
da parte del CIPE nel tempo previsto; 
        anzi,  Eurolink  era  altresi'  responsabile  della   mancata
conclusione dell'Atto aggiuntivo previsto dall'art. 34-decies, atteso
che la  predetta  -  dopo  aver  dato  corso  alla  negoziazione  dei
contenuti dell'atto - si era  poi  rifiutata  di  sottoscriverlo  con
motivazioni pretestuose e contrarie  al  canone  di  buona  fede.  In
particolare, la  Eurolink  aveva  posto  come  pregiudiziale  per  lo
svolgimento delle trattative la salvaguardia del recesso  esercitato.
Tuttavia, tale recesso era stato esercitato su un rapporto inefficace
e, non essendo esercitabile, era palesemente frutto di  una  condotta
abusiva, con violazione del comma 4 dell'art. 34-decies (secondo  cui
le parti dovevano improntare il loro comportamento secondo i principi
della buona fede); 
        con tale comportamento abusivo, la Eurolink  aveva  cagionato
un enorme sacrificio alla Stretto di Messina  spa.,  la  quale  aveva
perduto la Nuova Convenzione, la Concessione e la ragione  della  sua
stessa sussistenza: danno di cui  dovevano  rispondere  non  solo  la
Eurolink ma anche i suoi soci ai sensi dell'art.  176  comma  10  del
decreto legislativo 163/2006, ovvero ai sensi dell'art. 2043 c.c.; 
        il danno subito dalla Stretto di Messina  spa.  era  relativo
alle conseguenze economiche derivanti dalla perdita di chance  subita
per effetto della caducazione della concessione; ai  costi  sostenuti
per la  realizzazione  dell'oggetto  della  concessione,  comprensivi
degli studi, della Progettazione Preliminare e dello stesso  Progetto
Definitivo nonche' degli indennizzi dovuti dalla Stretto  di  Messina
spa. in relazione all'opera: cio' in ragione  anche  dell'affidamento
ingenerato in ordine alla conclusione dell'atto  aggiuntivo  ed  alla
conservazione del rapporto e della concessione stessa; 
        qualora,  poi,  l'art.  34-decies  fosse  stato  disapplicato
ovvero dichiarato incostituzionale o comunque annullato, il contratto
doveva  intendersi  risolto  in  ragione   dell'inadempimento   della
Eurolink  con  riguardo  alla  mancata  approvazione   del   Progetto
Definitivo da parte  del  CIPE  nel  termine  indicato  all'art.  5.2
dell'Accordo, con conseguente risarcimento dei danni in favore  della
Stretto di Messina spa. 
        Premesso cio', la convenuta Stretto di Messina spa.  chiedeva
in via preliminare di  essere  autorizzata  alla  chiamata  in  causa
impropria del Ministero delle Infrastrutture e della  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri (gia' convenuti),  nonche'  alla  chiamata  in
causa delle societa'  Sacyr  S.A.;  Societa'  italiana  per  Condotte
d'Acqua spa.; Cooperativa Muratori & Cementisti - C.M.C.  di  Ravenna
soc.coop. a r.l.; Ishikawajima - Harima Heavy  Industries  Co.  Ltd.;
Argo Costruzioni Infrastrutture scpa. Consorzio stabile. 
    Nel merito, poi, chiedeva: 
        "2) in via principale, dichiarare inammissibili e/o  comunque
rigettare, per le ragioni esposte nelle premesse,  tutte  le  domande
proposte da Eurolink S.C.p.A. e Impregilo S.p.A., in proprio e  quale
mandataria dell'ATI nei confronti di Stretto  di  Messina  S.p.A.  in
liquidazione, per la loro manifesta infondatezza, ivi incluse  quella
relativa alla disapplicazione o incostituzionalita'  delle  norme  di
cui al  D.L.  187/2012,  come  sostituita  dall'art.  34-decies  D.L.
179/2012, inserito in sede di conversione nella L. 221/2012; 
        3) anche in via riconvenzionale, accertata l'applicazione del
D.L. 187/2012, come sostituita  dall'art.  34-decies  D.L.  179/2012,
inserito in sede di conversione nella  L.  221/2012  e  accertata  la
responsabilita'  contrattuale  e/o  extracontrattuale   di   Eurolink
S.c.p.A. per le ragioni esposte nelle premesse, condannare la  stessa
Eurolink S.c.p.A.,  in  solido  con  Impregilo  S.p.A.,  Sacyr  S.A.;
Societa' italiana per Condotte d'Acqua spa.; Cooperativa  Muratori  &
Cementisti - C.M.C. di  Ravenna  soc.coop.  a  r.l.;  Ishikawajima  -
Harima Heavy Industries Co.  Ltd.;  Argo  Costruzioni  Infrastrutture
scpa. Consorzio stabile (societa' solidalmente responsabili  ex  art.
176, comma 10 decreto legislativo 12/04/2006 n. 163), al risarcimento
di  tutti  i  danni  sofferti  da  Stretto  di  Messina   S.p.A.   in
liquidazione  nella  misura  che  sara'  determinata  nel  corso  del
giudizio, anche occorrendo in via equitativa,  pure  con  riferimento
alla perdita di chance per la mancata realizzazione dell'opera e  con
riguardo   al   pregiudizio   all'immagine   ed   alla    reputazione
professionale sofferti da Stretto di Messina S.p.A. in liquidazione; 
        4) in via subordinata, nella denegata ipotesi  in  cui  fosse
accolta, anche parzialmente, la domanda di parte attrice con riguardo
alla validita' ed efficacia del recesso: (i) accertare il diritto  di
Stretto di Messina S.p.A. in  liquidazione  ad  essere  integralmente
tenuta indenne e manlevata dal Ministero delle Infrastrutture e dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per l'effetto, condannare il
Ministero delle Infrastrutture e  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri, in solido tra loro o  ciascuno  per  quanto  di  rispettiva
ragione, a rifondere tutto quanto (ivi incluse le spese  legali),  in
tesi, Stretto di Messina S.p.A. in liquidazione  sara'  eventualmente
condannata a riconoscere a parte attrice; (ii) accertare  il  diritto
di Stretto di  Messina  S.p.A.  in  liquidazione  nei  confronti  del
Ministero delle Infrastrutture e della Presidenza del  Consiglio  dei
Ministri ad essere ristorata delle  conseguenze  ulteriori  derivanti
dal decorso del termine di 540 giorni; 
        5) sempre in via subordinata, nella denegata ipotesi  in  cui
fosse accolta, anche parzialmente, la domanda  di  parte  attrice  di
risoluzione per inadempimento: (i) accertare il diritto di Stretto di
Messina S.p.A: in liquidazione ad essere integralmente tenuta indenne
e manlevata dal Ministero delle Infrastrutture e dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri e,  per  l'effetto,  condannare  il  Ministero
delle Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio dei  Ministri,  in
solido tra loro o  ciascuno  per  quanto  di  rispettiva  ragione,  a
rifondere tutto quanto  (ivi  incluse  le  spese  legali),  in  tesi,
Stretto  di  Messina  S.p.A.  in  liquidazione  sara'   eventualmente
condannata a riconoscere a parte attrice; (ii) accertare  il  diritto
di Stretto di  Messina  S.p.A.  in  liquidazione  nei  confronti  del
Ministero delle Infrastrutture e della Presidenza del  Consiglio  dei
Ministri ad essere ristorata delle  conseguenze  ulteriori  derivanti
dal decorso del termine di 540 giorni; 
        6) sempre in  via  subordinata,  nella  denegata  ipotesi  di
accoglimento  della  domanda  di  parte  attrice  avente  ad  oggetto
l'impossibilita'  da  parte  di  Stretto   di   Messina   S.p.A.   in
liquidazione di concordare la revisione del contratto per la mancanza
delle  risorse  finanziarie  imputabile  alla  parte  pubblica:   (i)
accertare il diritto di Stretto di Messina S.p.A: in liquidazione  ad
essere integralmente tenuta indenne e manlevata dal  Ministero  delle
Infrastrutture e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri  e,  per
l'effetto,  condannare  il  Ministero  delle  Infrastrutture   e   la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in solido tra loro o  ciascuno
per quanto di rispettiva  ragione,  a  rifondere  tutto  quanto  (ivi
incluse le spese legali), in  tesi,  Stretto  di  Messina  S.p.A.  in
liquidazione sara' eventualmente condannata  a  riconoscere  a  parte
attrice; (ii) accertare il diritto di Stretto di  Messina  S.p.A.  in
liquidazione nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e della
Presidenza del Consiglio  dei  Ministri  ad  essere  ristorata  delle
conseguenze ulteriori derivanti dall'avvenuta mancanza delle  risorse
finanziarie; 
        7) sempre in via subordinata, accertare il diritto di Stretto
di  Messina  S.p.A.  in  liquidazione  a  vedersi  riconosciuto   dal
Ministero delle  Infrastrutture  e  dalla  Presidenza  del  Consiglio
l'indennizzo costituito dal pagamento delle  prestazioni  progettuali
eseguite, nonche' l'ulteriore somma pari al 10%,  a  norma  dell'art.
34-decies comma 3 D.L. 187/2012; 
        8) ancora in via subordinata, nella denegata ipotesi  in  cui
l'art. 34-decies D.L. 187/2012  dovesse  essere  disapplicato  ovvero
dichiarato incostituzionale o comunque annullato o  dichiarato  privo
di effetti, risolvere  per  inadempimento  di  Eurolink  S.c.p.A.  il
contratto in data 27/3/2006 e successivi accordi ed  atti  aggiuntivi
avente ad oggetto l'esecuzione del Ponte sullo Stretto di Messine  e,
per l'effetto, condannare la stessa Eurolink S.c.p.A., in solido  con
Impregilo S.p.A., Sacyr S.A.; Societa' italiana per Condotte  d'Acqua
spa.; Cooperativa Muratori & Cementisti - C.M.C. di Ravenna soc.coop.
a r.l.;  Ishikawajima  -  Harima  Heavy  Industries  Co.  Ltd.;  Argo
Costruzioni Infrastrutture scpa. Consorzio stabile,  al  risarcimento
di  tutti  i  danni  sofferti  da  Stretto  di  Messina   S.p.A.   in
liquidazione nella misura: (i) che sara' determinata  nel  corso  del
giudizio, a titolo di danno emergente  e  lucro  cessante;  (ii)  che
sara' determinata anche in via equitativa da codesto Ecc.mo Tribunale
con  riguardo  al  pregiudizio  all'immagine  ed   alla   reputazione
professionale sofferti da Stretto di Messina S.p.A. in liquidazione". 
    Autorizzata la chiamata  in  causa  richiesta  dalla  Stretto  di
Messina spa., si costituivano in giudizio  le  societa'  Sacyr  S.A.;
Societa' italiana per Condotte d'Acqua spa.; Cooperativa  Muratori  &
Cementisti - C.M.C. di Ravenna  soc.coop.  a  r.l.;  IHI  Corporation
(gia'  Ishikawajima  -  Harima  Heavy  Industries  Co.  Ltd.);   Argo
Costruzioni  Infrastrutture  scpa.  Consorzio   stabile,   le   quali
svolgevano  difese   analoghe   alla   parte   attrice,   richiamando
espressamente le  deduzioni  contenute  nell'atto  di  citazione.  In
particolare, deducevano che: 
        il D.L. 187/2012 aveva coattivamente modificato la disciplina
contrattuale rimessa alla libera autonomia delle parti,  in  modo  da
espropriare indebitamente la parte privata dei propri  diritti  e  da
evitare il pagamento di quanto dovuto convenzionalmente; 
        le procedure approvative del Progetto del Ponte sullo Stretto
non erano peculiari, ma erano quelle di  legge,  recate  dal  decreto
legislativo 190/2002 e trasfuse nel decreto legislativo 163/2006; 
        la  disposizione  dell'art.  5.2  dell'Accordo  era   chiara,
ancorando il diritto di  recesso  al  semplice  e  vano  decorso  del
termine di 540 giorni dalla consegna del  progetto  definitivo  senza
che fosse intervenuto un provvedimento del CIPE; 
        il termine di 540 giorni era stato fissato dalle  parti  come
comprensivo di tutti i  maggiori  tempi  che,  fisiologicamente,  una
istruttoria avente ad oggetto un'opera di tale  complessita'  avrebbe
comportato per le integrazioni ed i chiarimenti documentali; 
        ne'  del  resto  tali  richieste  di   chiarimenti   potevano
presupporre un inadempimento da parte del contraente privato,  tenuto
conto che il Progetto Definitivo in questione era stato approvato dal
CdA  della  Stretto  di  Messina   spa.,   previo   parere   positivo
all'unanimita' del Comitato scientifico  ed  emissione  del  Rapporto
Finale  delle  attivita'  di  verifica  e  controllo   del   Progetto
Definitivo da  parte  del  PMC  Parsons  e  del  Rapporto  Finale  di
Validazione  del  Progetto  Definitivo  da  parte  dell'organismo  di
Controllo Tecnico di terza parte RINA Check srl.; 
        erano infondate le  domande  riconvenzionali  proposte  dalla
Stretto di Messina spa., atteso che  la  Eurolink  era  stata  sempre
disponibile alla stipulazione dell'atto aggiuntivo e non v'era  stato
alcun  abuso  del   diritto,   mentre   i   danni   lamentati   erano
insussistenti; 
        peraltro, le societa' esponenti  -  in  relazione  alla  loro
specifica posizione di partecipanti alla originaria ATI e  poi  quali
soci della Eurolink - avevano sopportato notevoli costi ed  oneri  in
vista dell'esecuzione del contratto, dei  quali  avevano  diritto  ad
essere rimborsate, oltre al risarcimento dei  danni  derivanti  dalla
mancata realizzazione del Ponte sullo Stretto. 
    Premesso  cio',  le  societa'  chiamate   in   causa   chiedevano
rigettarsi le domande proposte dalla Stretto di Messina spa. nei loro
confronti e,  in  accoglimento  dell'atto  di  citazione,  condannare
Stretto  di  Messina  spa.  in  liquidazione,  il   Ministero   delle
Infrastrutture e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in  solido
tra loro o ciascuna per quanto di ragione, all'integrale  ristoro  di
tutti gli oneri e risarcimento dei  danni.  In  via  riconvenzionale,
poi,  chiedevano  condannarsi  i  predetti  convenuti   all'integrale
ristoro degli ulteriori costi, oneri e danni sofferti dai comparenti,
come indicati nella  comparsa  di  costituzione,  oltre  interessi  e
rivalutazione monetaria. 
    Con separato atto di citazione, la Parsons  Transportation  Group
Inc. (societa' di diritto  statunitense)  conveniva  in  giudizio  la
Stretto  di  Messina  spa.  in  liquidazione,  il   Ministero   delle
Infrastrutture e dei Trasporti e  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
Ministri, ripercorrendo tutte le  vicende  relative  al  progetto  di
realizzazione di un collegamento stabile viario e ferroviario tra  la
Sicilia e la Calabria e deducendo di aver ottenuto  l'affidamento  da
parte della Stretto di Messina  dell'appalto  di  Project  Management
Consulting relativo alla progettazione  definitiva  ed  esecutiva  ed
alla  realizzazione  dell'opera  suddetta  e  di  aver  stipulato  il
relativo contratto in data 16 gennaio 2006. 
    In particolare, deduceva che: 
        il contratto  di  Project  Management  aveva  ad  oggetto  un
appalto di servizi relativo alla assistenza tecnica,  amministrativa,
gestionale ed ambientale da  parte  della  Parsons  in  favore  della
Stretto  di  Messina  spa.  in  tutte  le  fasi   di   progettazione,
realizzazione e collaudo dell'opera  relativa  alla  costruzione  del
Ponte sullo Stretto di Messina; 
        si   trattava    di    prestazioni    complesse    di    alta
specializzazione, che la Parsons avrebbe realizzato con  parte  della
sua struttura professionale di base  negli  Stati  Uniti  e  con  una
articolata organizzazione messa in campo in Italia; 
        nel bando di gara, il valore  complessivo  delle  prestazioni
contrattuali era stato stimato nella somma di €  150.000.000,00,  che
tuttavia doveva essere aggiornata  ad  €  225.260.589,90,  di  cui  €
200.849.502,90 rappresentava il valore delle  prestazioni  ancora  da
eseguire; 
        la Parsons aveva, pertanto, diritto al reintegro di tutte  le
spese sostenute in esecuzione del rapporto contrattuale,  nonche'  al
corrispettivo ancora dovuto ed  al  risarcimento  di  tutti  i  danni
subiti per effetto della totale perdita dell'investimento  effettuato
in Italia; 
        infatti,  la  perdita  della  possibilita'  di  eseguire   le
prestazioni di cui al contratto di Project Management e di conseguire
l'utile da esso derivante era imputabile alla  condotta  della  parte
pubblica,  intendendosi  per  tale  parte  sia  lo   Stato   italiano
(rappresentato dalla Presidenza del Consiglio e dal  Ministero),  sia
la committente concessionaria Stretto di Messina spa.; 
        in particolare, Stretto di Messina spa. era un  organo  dello
Stato in  quanto  era  soggetto  al  controllo  totalitario  ed  alla
direzione di quest'ultimo (ai sensi dell'art.  28  dello  Statuto  si
riconosceva  che  lo  Stato  italiano  deteneva  il  controllo  della
societa' ai sensi dell'art. 2359, comma 1, n.1 c.c. e,  peraltro,  lo
Stato italiano era stato l'unico finanziatore dell'opera); 
        in ogni caso, quand'anche fosse  stata  ritenuta  sussistente
una  distinta  soggettivita',  la  Presidenza  del  Consiglio  ed  il
Ministero erano tenuti  a  rispondere  a  titolo  di  responsabilita'
aquiliana,  per  non  aver  adeguatamente  vigilato  sulla   corretta
esecuzione delle obbligazioni contrattuali da parte della Stretto  di
Messina spa. e per aver  di  fatto  impedito  la  prosecuzione  della
realizzazione dell'Opera; 
        il Giudice italiano, quindi, era  tenuto  a  disapplicare  le
disposizioni del DL 187/2012, come poi sostituite dall'art. 34-decies
della legge di conversione n. 221/2012, attesa la contrarieta'  delle
stesse al diritto  dell'Unione  Europea,  avendo  lo  Stato  italiano
illegittimamente espropriato i diritti contrattuali  acquisiti  dalla
Parsons al momento dell'affidamento dell'appalto  per  i  servizi  di
Project Management; 
        in particolare, si aveva espropriazione  indiretta  quando  -
pur in assenza di una formale privazione di un diritto - un  soggetto
veniva di fatto privato del godimento o del  valore  sostanziale  del
proprio diritto; 
        le continue interferenze dello Stato italiano avevano causato
uno  stravolgimento  del  complessivo  equilibrio  contrattuale   con
incredibile  aggravio  di  costi  ed  oneri  rispetto  agli   impegni
originariamente assunti; 
        il DL. 187/2012 aveva dapprima sospeso i  contratti  conclusi
con i soggetti affidatari, con il diniego del diritto a  qualsivoglia
indennizzo (privando la Parsons dell'importo di €  635.084,00  dovuto
per i costi sostenuti successivamente al 2 novembre 2012); poi  aveva
fissato  per  la  stipulazione  di  un  atto  aggiuntivo  un  termine
perentorio (1 marzo 2013) troppo  breve  per  la  complessita'  degli
interessi  coinvolti;  infine,  aveva  riconosciuto   un   indennizzo
costituito    dal    pagamento    delle    prestazioni    progettuali
contrattualmente previste e direttamente eseguite e del pagamento  di
una ulteriore somma pari al 10 per cento dell'importo predetto,  cio'
rappresentando un indennizzo irrisorio  rispetto  a  quello  previsto
dalle vigenti norme di legge in caso di recesso  ad  nutum  da  parte
della pubblica amministrazione  committente  (cfr.  art.  134  D.Lgs.
163/2006); 
        con l'entrata in vigore del  Trattato  di  Lisbona,  l'Unione
Europea aveva  acquisito  una  competenza  esclusiva  in  materia  di
investimenti esteri e la Commissione aveva riconosciuto il  principio
di  non   discriminazione,   il   principio   di   equo   trattamento
dell'investimento,  il   divieto   di   espropriazioni   senza   equo
indennizzo, il divieto  di  misure  espropriative  o  regolatorie  in
pregiudizio del diritto di stabilimento,  della  libera  circolazione
dei servizi  e  dei  capitali,  della  necessita'  di  realizzare  un
ambiente aperto agli investimenti; 
        in particolare, erano state violate  le  seguenti  norme  del
Trattato UE: 
        art.  63:  la  caducazione  dei  contratti  e   la   modifica
dell'importo riconosciuto a titolo di indennizzo aveva  indebitamente
ristretto la liberta' di movimento dei capitali,  traducendosi  nella
esclusione  della  possibilita'  di  percepire  un  utile  a   fronte
dell'investimento eseguito; 
        art. 4: violazione del principio del legittimo affidamento  e
della  leale  cooperazione,  in  quanto  era  stata  pregiudicata  la
legittima aspettativa dei contraenti privati di  dare  esecuzione  ai
rispettivi contratti; 
        art. 17 della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea: che vietava la privazione della proprieta' se non per motivi
di pubblico interesse previo pagamento di "una giusta indennita'"; 
        art. 47 della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea: che riconosceva il diritto di accesso alla giustizia e ad un
ricorso effettivo; 
          le regole dell'Unione europea in materia di  aggiudicazione
di appalti pubblici in relazione agli artt. 49 e 56 TFUE (diritto  di
stabilimento, libera circolazione dei servizi); 
        in caso  di  mancata  disapplicazione,  la  questione  andava
sottoposta alla Corte di Giustizia UE ex art. 267 TFUE ovvero rimessa
alla Corte costituzionale; 
        in particolare, il citato art. 34-decies confliggeva con  gli
obblighi pattizi assunti dall'Italia nei confronti degli Stati  Uniti
con il Trattato di  amicizia,  in  base  al  quale  l'Italia  si  era
impegnata a prendere atto e riconoscere  il  diritto  delle  societa'
statunitensi di esercitare attivita'  di  impresa  secondo  la  legge
italiana (art.  1);  a  non  espropriare  i  diritti  delle  societa'
statunitensi senza giusto un giusto ed equo indennizzo  (art.  5);  a
prendere atto e riconoscere  alle  persone  giuridiche  straniere  un
trattamento giusto ed equo,  anche  con  riferimento  alle  relazioni
contrattuali in corso (art. 18, comma 2); a non ostacolare  l'accesso
al mercato italiano da parte delle  persone  giuridiche  statunitensi
(art.  18,  comma  3);   a   non   adottare   misure   arbitrarie   o
discriminatorie  tali  da   impedire   alle   societa'   statunitensi
l'esercizio delle proprie attivita' di impresa (art. 1 del protocollo
integrativo); 
        risultava violato l'art. 117 della Costituzione, in  base  al
quale la potesta' legislativa era  esercitata  dallo  Stato  e  dalle
Regioni  nel  rispetto  della  Costituzione,  nonche'   dei   vincoli
derivanti   dall'ordinamento    comunitario    e    dagli    obblighi
internazionali; 
        l'art. 34-decies  violava,  altresi',  anche  la  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  che
tutelava il  diritto  di  proprieta',  il  diritto  di  accesso  alla
giustizia e ad  un  ricorso  effettivo  e  doveva,  pertanto,  essere
annullato dalla Corte costituzionale; 
        in conclusione, l'art. 34-decies era  illegittimo  in  quanto
violava gli artt. 3, 10,  24,  41,  42,  43,  97,  113  e  117  della
Costituzione per il carattere discriminatorio  (perche'  pregiudicava
individuali investitori); per la violazione  di  rilevanti  norme  di
diritto internazionale consuetudinario e pattizio; per la  violazione
del diritto di proprieta' e di libera iniziativa economica di privati
investitori; per la violazione del principio  di  buon  andamento  ed
imparzialita' della Pubblica amministrazione; 
        in ogni caso, il contratto doveva  considerarsi  risolto  per
grave inadempimento della Parte pubblica, la quale aveva  violato  il
principio di buona fede nella esecuzione del contratto  omettendo  di
stipulare  l'atto  aggiuntivo  di  cui   all'art.   34-decies,   cio'
rappresentando solo il prevedibile esito della  condotta  finalizzata
ad esimersi dall'adempimento delle proprie obbligazioni contrattuali,
mediante le sottrazione delle risorse necessarie per l'esecuzione del
progetto e la  successiva  eliminazione,  per  via  normativa,  delle
possibili conseguenze restitutorie, risarcitorie o  indennitarie  del
proprio inadempimento; 
        la parte pubblica si era voluta sottrarre all'obbligo di dare
esecuzione al contratto d'opera ed ai contratti  ad  esso  collegati,
nonche' alle conseguenze derivanti dalla legge  e  dal  contratto  in
caso di recesso ad nutum, cosi' come previste dall'art.  134  decreto
legislativo 163/2006 e dall'art. 1671 c.c.; 
        peraltro, la circostanza che -  ai  sensi  dell'art.  25  del
contratto e dell'art. 7 della Intesa PMC -il  soggetto  aggiudicatore
avrebbe  contrattualmente  potuto  recedere  dal  contratto   a   suo
insindacabile  giudizio  non  sottraeva  la   Parte   pubblica   alla
responsabilita' derivante dall'aver ispirato la propria condotta alla
finalita' abusiva di espropriare i soggetti  affidatari  dei  diritti
contrattualmente acquisiti; 
        lo Stato italiano aveva emanato atti  normativi,  in  spregio
del dovere di buona fede e trasparenza, al solo fine di  sottrarre  i
propri organismi dalle obbligazioni  derivanti  dal  contratto  e  di
espropriare i privati (quali Parsons) del proprio investimento; 
        da tale inadempimento derivava il diritto della Parsons  alla
restituzione delle spese sostenute e di tutto quanto dovuto a  titolo
di corrispettivo, nonche' al risarcimento del danno emergente  e  del
lucro cessante; 
        in  subordine,  la  Parsons  aveva   diritto   all'indennizzo
originariamente pattuito ai sensi dell'art.  25  del  contratto,  pur
cio'  non  escludendo  altresi'  il  diritto  al  risarcimento  degli
ulteriori danni subiti. 
    Premesso cio', la Parsons Transportation Group Inc. chiedeva: 
In via principale, 
    previa disapplicazione, nella misura ritenuta  necessaria,  delle
disposizioni di cui al Decreto Legge 2 novembre  2012,  n.  187  come
sostituito dall'art.  34-decies  del  DL  18  ottobre  2012  n.  179,
inserito in sede di conversione nella Legge 17 dicembre 2012 n.  221,
ovvero previa sottoposizione di domanda  di  pronuncia  pregiudiziale
alla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai  sensi  dell'art.  267
TFUE  ovvero  previa  sottoposizione  di  questione  di  legittimita'
costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n.  87
per violazione degli artt. 3, 10, 24, 41, 42, 43, 97, 113 e 117 della
Costituzione per i motivi di cui in narrativa, accertare e dichiarare
la risoluzione del Contratto, dell'Intesa PMC e dei  successivi  Atti
Integrativi PMC per fatto e colpa di Stretto  di  Messina  s.p.a.  in
liquidazione, del Ministero delle Infrastrutture e  dei  Trasporti  e
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in  solido  tra  loro  o
ciascuno per quanto di ragione, per i motivi di cui in narrativa  e/o
accertare  e  dichiarare  la  responsabilita'  extracontrattuale  del
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e/o  della  Presidenza
del Consiglio dei Ministri per i motivi di cui in  narrativa;  e  per
l'effetto condannare Stretto di Messina s.p.a. in  liquidazione,  del
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, in solido tra loro o ciascuno per  quanto  di
ragione, a  ristorare  Parsons  di  tutti  i  costi  sostenuti  o  da
sostenere, dei  corrispettivi  ancora  dovuti  e  di  tutti  i  danni
sofferti nella misura quantificata in atto di citazione, ovvero nella
diversa somma ritenuta di giustizia. 
In via subordinata, 
    previa disapplicazione, nella misura ritenuta  necessaria,  delle
disposizioni di cui al Decreto Legge 2 novembre  2012,  n.  187  come
sostituito dall'art.  34-decies  del  DL  18  ottobre  2012  n.  179,
inserito in sede di conversione nella Legge 17 dicembre 2012 n.  221,
ovvero previa sottoposizione di domanda  di  pronuncia  pregiudiziale
alla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai  sensi  dell'art.  267
TFUE  ovvero  previa  sottoposizione  di  questione  di  legittimita'
costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n.  87
per violazione degli artt. 3, 10, 24, 41, 42, 43, 97, 113 e 117 della
Costituzione per i motivi di cui in narrativa: 
        A) accertare e dichiarare il recesso esercitato da Stretto di
Messina s.p.a. in data  2  marzo  2013  e  per  l'effetto  condannare
Stretto di  Messina  s.p.a.  in  liquidazione,  del  Ministero  delle
Infrastrutture e dei Trasporti e della Presidenza del  Consiglio  dei
Ministri, in solido tra loro o ciascuno per quanto di ragione  (anche
a titolo di  responsabilita'  extracontrattuale  con  riferimento  al
delle Infrastrutture e dei Trasporti e della Presidenza del Consiglio
dei Ministri), all'integrale ristoro in favore di Parsons di tutti  i
compensi, indennizzi, costi ed oneri ai sensi e per  gli  effetti  di
cui all'art. 1671 c.c., cosi' come quantificati in citazione; 
        B) accertare e dichiarare la responsabilita' contrattuale e/o
extracontrattuale di Stretto di Messina s.p.a. in  liquidazione,  del
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, in solido tra loro o ciascuno per  quanto  di
ragione e, per l'effetto, condannare i predetti  al  risarcimento  di
tutti i danni sofferti, cosi' come quantificati  in  citazione  o  da
quantificarsi,  ove  occorre,  anche  in  via  equitativa  ai   sensi
dell'art. 1226 c.c.; 
        C) accertato e dichiarato che la risoluzione dei contratti di
subappalto conclusi da Parsons con Bonifica Italia s.r.l., Rina Check
s.r.l. e Tecnic s.p.a. e' imputabile a fatto e colpa  di  Stretto  di
Messina s.p.a. in liquidazione, del Ministero delle Infrastrutture  e
dei Trasporti e della  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  in
solido tra loro o  ciascuno  per  quanto  di  ragione,  condannare  i
predetti a corrispondere a Parsons i corrispettivi ed i  risarcimenti
dalla stessa dovuti in favore dei subappaltatori; 
In via subordinata, 
    previa disapplicazione, nella misura ritenuta  necessaria,  delle
disposizioni di cui al Decreto Legge 2 novembre  2012,  n.  187  come
sostituito dall'art.  34-decies  del  DL  18  ottobre  2012  n.  179,
inserito in sede di conversione nella Legge 17 dicembre 2012 n.  221,
ovvero previa sottoposizione di domanda  di  pronuncia  pregiudiziale
alla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai  sensi  dell'art.  267
TFUE  ovvero  previa  sottoposizione  di  questione  di  legittimita'
costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n.  87
per violazione degli artt. 3, 10, 24, 41, 42, 43, 97, 113 e 117 della
Costituzione per i motivi di cui in narrativa: accertato e dichiarato
il recesso esercitato da Stretto di Messina s.p.a. in  data  2  marzo
2013 e accertata  e  dichiarata  la  risoluzione  della  Intesa  PMC,
condannare Stretto di Messina s.p.a. in liquidazione,  del  Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti e della Presidenza del Consiglio
dei Ministri, in solido tra loro o ciascuno  per  quanto  di  ragione
(anche a titolo di responsabilita' extracontrattuale con  riferimento
al delle Infrastrutture  e  dei  Trasporti  e  della  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri), all'integrale ristoro in favore  di  Parsons
di tutti i compensi, indennizzi, costi ed  oneri  previsti  dall'art.
25.4 del Contratto ovvero in subordine  previsti  dall'art.  7  della
Intesa PMC, oltre al risarcimento del danno, cosi' come  quantificati
in citazione; 
In estremo subordine, 
    accertare e dichiarare la risoluzione del Contratto,  dell'Intesa
PMC e dei successivi Atti Integrativi PMC ai sensi e per gli  effetti
dell'art. 34-decies della Legge  221/2012  e  condannare  Stretto  di
Messina s.p.a. in liquidazione, del Ministero delle Infrastrutture  e
dei Trasporti e della  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  in
solido tra loro o ciascuno per quanto di ragione (anche a  titolo  di
responsabilita'   extracontrattuale   con   riferimento   al    delle
Infrastrutture e dei Trasporti e della Presidenza del  Consiglio  dei
Ministri),  al  pagamento  delle  somme  previste  dal  citato   art.
34-decies, oltre al risarcimento del danno. 
In ogni caso 
    Condannare  Stretto  di  Messina  s.p.a.  in  liquidazione   alla
restituzione della garanzia cauzionale rilasciata da Parsons ai sensi
dell'art. 18 del Contratto e successivi aggiornamenti,  nonche'  alla
rifusione  dei  costi  ed  oneri  fino   alla   data   dell'effettiva
liberazione, interessi, rivalutazione e Iva. 
    Anche in tale giudizio si costituivano  la  societa'  Stretto  di
Messina spa., nonche' la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed  il
Ministero delle Infrastrutture  e  dei  Trasporti,  svolgendo  difese
analoghe a quelle gia' svolte nel giudizio instaurato dalle  societa'
Eurolink ed Impregilo, e chiedendo il rigetto delle domande attoree. 
    Con particolare riferimento alle domande della  Parsons,  Stretto
di Messina s.p.a. deduceva che: 
        la domanda di risoluzione  del  contratto  di  PMC  risultava
assorbita dalle domande di risoluzione del contratto di affidamento a
Contraente generale (cui il contratto  stipulato  dalla  Parsons  era
geneticamente e giuridicamente  collegato),  proposte  reciprocamente
dalle parti contraenti Eurolink e Stretto di Messina s.p.a.; 
        non  era  possibile  configurare  una  "parte  pubblica"  tra
Stretto di Messina e  lo  Stato,  essendo  soggetti  diversi  ed  era
inammissibile  applicare  il  concetto  della  buona  fede  ad   atti
legislativi; 
        sin dall'inizio, il Ponte era stato assoggettato a  procedure
approvative e ad un regime economico-finanziario assai  peculiari  in
considerazione del carattere eccezionale dell'opera e  della  entita'
dei mezzi finanziari occorrenti per la sua realizzazione da  reperire
sul mercato (art. 2, comma  7  decreto  legislativo  14/2003)  e,  di
conseguenza, le modifiche introdotte  dall'art.  34-decies  si  erano
collegate  in  tale  regime  di  specialita'  ed   erano   pienamente
giustificate dalle specifiche contingenze dei mercati finanziari; 
        la  mancata   sottoscrizione   dell'Atto   aggiuntivo   aveva
determinato la caducazione del contratto  CG,  del  contratto  PMC  e
della concessione, con il conseguente riconoscimento di un indennizzo
da riconoscere a tutti i contraenti di Stretto di Messina; 
        quanto a Parsons, la misura di tale indennizzo era del  tutto
ragionevole ed adeguata, atteso che le  attivita'  eseguite  dal  PMC
erano gia' state interamente compensate a prezzi pieni di contratto e
che nessuna ulteriore prestazione era stata resa; 
        sicche', la disposizione in questione non aveva come  oggetto
diretto la modifica  coattiva  della  disciplina  contrattuale  o  un
esproprio dei diritti contrattuali in essere, ma solo la modifica del
procedimento amministrativo di approvazione del  Progetto  definitivo
del Ponte; 
        tale modifica procedurale trovava la propria  giustificazione
in  motivi  imperiosi  di  interesse   pubblico,   costituiti   dalla
necessita' di verificare se, in una situazione del tutto  eccezionale
dei mercati finanziari, vi  erano  effettivamente  le  condizioni  di
sostenibilita' del  piano  economico  finanziario  del  Ponte,  senza
determinare pericoli per la finanza pubblica; 
        le modifiche contrattuali da recepire in un  Atto  aggiuntivo
lasciato alla negoziazione del Contraente generale e  di  Stretto  di
Messina  spa.  da   espletare   in   buona   fede   e   non   imposte
autoritativamente  erano   necessarie   in   quanto   la   disciplina
contrattuale si basava su presupposti non piu' attuali; 
        pertanto,  l'art.  34-decies  era  pienamente  conforme  alla
normativa comunitaria e costituzionale, atteso che: 
          a) le norme del Trattato UE  erano  rivendicabili  solo  da
soggetti ed  operatori  economici  degli  Stati  aderenti  all'Unione
Europea, mentre Parsons era un soggetto statunitense e la presenza di
una sede secondaria in Italia non ne modificava  la  connotazione  di
soggetto extra UE; 
          b) in ogni caso, il contratto PMC non aveva  la  natura  di
investimento  internazionale  essendo  un  contratto  di  servizi  di
ingegneria di particolare rilievo; 
          c) non vi era stata alcuna espropriazione indiretta, atteso
che l'art. 34-decies  si  era  limitato  a  modificare  la  procedura
approvativa dell'Opera; 
          d) la Corte di  Giustizia  europea  aveva  sempre  ritenuto
possibile  una  limitazione  dei  diritti  fondamentali  sanciti  dal
Trattato UE da parte della legislazione degli Stati  membri,  purche'
in presenza di quattro condizioni, tutte presenti nel caso di specie: 
1. applicazione non discriminatoria: l'art.  34-decies  si  applicava
indifferentemente  sia  a  Stretto  di  Messina  che  a   tutti   gli
affidatari, anche per gli aspetti caducatori; 
2. sussistenza di motivi imperiosi di interesse pubblico:  che  erano
chiaramente individuati nell'esigenza di tutelare la finanza pubblica
in una situazione di grave incertezza  dei  mercati  finanziari,  che
metteva in dubbio la sostenibilita' del piano  economico  finanziario
dell'Opera; 
3. la idoneita' a garantire il perseguimento  dello  scopo  previsto:
l'art. 34-decies introduceva una  preventiva  procedura  di  verifica
delle condizioni dei mercati  per  verificarne  la  rispondenza  alle
esigenze economico finanziarie dell'Opera; 
4. la limitazione a quanto necessario  per  il  raggiungimento  dello
scopo previsto: la norma si limitava  a  disciplinare  tale  fase  di
verifica stabilendone anche il tempo massimo per la sua  conclusione,
lasciando libere le parti di definirne le  modalita'  di  recepimento
all'esito di una negoziazione improntata a principi di buona fede sia
della Parte pubblica che della Parte privata; 
        parimenti,  l'art.  34-decies   era   conforme   anche   alla
Costituzione, atteso che costantemente la Corte costituzionale  aveva
affermato che, nel nostro sistema, non era interdetto al  legislatore
di emanare disposizioni tali da modificare in  senso  sfavorevole  la
disciplina dei rapporti di durata, a condizione che tali disposizioni
non  trasmodassero  in   un   regolamento   irrazionale,   frustrando
l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica; 
        la norma  in  questione  non  era  frutto  di  una  decisione
improvvisa ed arbitraria  del  legislatore,  ma  si  inseriva  in  un
contesto di specificita' proprio dell'Opera, in considerazione  della
sua enorme rilevanza economica e finanziaria e la  sua  adozione  era
stata determinata da  una  oggettiva  situazione  di  criticita'  dei
mercati finanziari; 
        quanto alla pretesa  violazione  del  Trattato  di  Amicizia,
questo regolava i rapporti tra lo Stato italiano e gli Stati Uniti e,
pertanto, era destinato a disciplinare i rapporti inter-statuali,  da
cui  non  derivavano  posizioni  giuridiche  soggettive  direttamente
azionabili da un soggetto privato statunitense  nei  confronti  dello
Stato  italiano  ovvero  di  una  societa'  di  capitali  di  diritto
italiano; 
        in ogni caso, la Parsons era inadempiente  alle  obbligazioni
contrattualmente assunte. In particolare, l'oggetto del rapporto  era
individuato dall'art. 3.1, in base al  quale  Parsons  era  tenuta  a
tutte le attivita' di assistenza tecnica, amministrativa,  gestionale
ed  ambientale  occorrenti  al   Committente,   in   relazione   alla
progettazione  definitiva  ed   esecutiva   ed   alla   realizzazione
dell'Opera; 
        nello svolgimento del contratto PMC,  Parsons  aveva  assunto
ogni alea riguardante il controllo e la verifica delle  attivita'  di
pianificazione  e  programmazione  del  Contraente  Generale  e   del
Monitore   Ambientale;   nonche'   il   controllo   e   la   verifica
dell'esecuzione delle eventuali prescrizioni dettate dal  Committente
e/o dal CIPE in sede di approvazione del Progetto Definitivo; 
        la Parsons, poi, aveva assunto l'obbligo di  espletare  tutte
le    attivita'    di    assistenza    finalizzate    all'ottenimento
dell'approvazione da parte del CIPE degli elaborati progettuali; 
        era, inoltre, prevista quale specifica ipotesi di risoluzione
del contratto di  PMC  il  recesso  dal  contratto  concluso  tra  il
Contraente Generale e Committente e in ogni altro caso  in  cui  tale
rapporto fosse venuto meno; 
        era di conseguenza sussistente l'inadempimento della  Parsons
atteso che: aveva ritenuto idonea  e  completa  tutta  la  componente
"Ambiente" del Progetto Definitivo; al contrario sia la CTVA  sia  il
MIBAC avevano riscontrato significative  carenze  in  tale  specifica
componente, imponendo addirittura alla Stretto  di  Messina  spa.  la
ripubblicazione di  parti  del  Progetto  Definitivo  validato  dalla
Parsons; la Parsons aveva, altresi', ritenuto  pienamente  idonea  la
documentazione ambientale, che invece la CTVA aveva ritenuto  carente
e non idonea; cio' nonostante, la Parsons non aveva mai contestato la
fondatezza dei rilievi formulati dalla  CTVA  e  dal  MIBAC,  neppure
quando la CTVA aveva concluso per la non approvabilita' degli aspetti
ambientali del Progetto Definitivo. 
    Premesso cio', la societa' Stretto di Messina spa. chiedeva: 
        in via preliminare, autorizzare la chiamata  in  causa  della
Eurolink Scpa., della Presidenza del Consiglio  dei  Ministri  e  del
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e disporre la riunione
con il giudizio instaurato dalla Eurolink ovvero,  in  subordine,  la
sospensione del presente giudizio sino alla definizione del predetto; 
        in via principale, dichiarare inammissibili  o  rigettare  le
domande proposte dalla Parsons Transoportation Group Inc.; 
        in via riconvenzionale,  accertare  e  dichiarare  l'avvenuta
risoluzione del rapporto contrattuale tra la  Parsons  e  Stretto  di
Messina spa. per effetto della avvenuta risoluzione del rapporto  tra
la Stretto di Messina spa. ed Eurolink; ovvero in subordine  a  norma
dell'art. 1456 c.c., ovvero  in  ulteriore  subordine  per  il  grave
inadempimento della Parsons agli obblighi contrattualmente assunti; 
        ancora in via  riconvenzionale,  nella  denegata  ipotesi  di
accoglimento anche parziale delle domande spiegate dalla Eurolink nel
giudizio RG n. 16617/2013, accertare  il  diritto  della  Stretto  di
Messina spa. in liquidazione ad essere  tenuta  indenne  e  manlevata
dalla Parsons e per l'effetto  condannare  quest'ultima  a  rifondere
tutto quanto eventualmente riconosciuto alla Eurolink,  in  subordine
anche quale risarcimento del danno derivante dalla incompletezza  del
Progetto definitivo; 
        in subordine, in caso di risoluzione del rapporto tra Stretto
di Messina spa. ed  Eurolink  per  fatto  e  colpa  di  quest'ultima,
accertare  il  diritto  della  Stretto  di  Messina  spa.  ad  essere
integralmente tenuta indenne e  manlevata  dalla  Eurolink  Scpa.  da
tutte le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla risoluzione  del
rapporto con la Parsons; 
        in via subordinata, in caso di  accoglimento  anche  parziale
delle domande della Parsons, accertare il diritto  della  Stretto  di
Messina spa. in liquidazione ad essere tenuta indenne e manlevata dal
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri e, per  l'effetto,  condannare  i  predetti  a
rifondere tutto quanto eventualmente riconosciuto alla Parsons; 
        sempre in subordine, in caso di accoglimento  anche  parziale
delle domande della Parsons, accertare il diritto  della  Stretto  di
Messina spa. in liquidazione al riconoscimento  dal  Ministero  delle
Infrastrutture e dei Trasporti e dalla Presidenza del  Consiglio  dei
Ministri l'indennizzo previsto dall'art. 34-decies. 
    Si  costituivano  anche  in  tale  giudizio  le   amministrazioni
convenute, le quali preliminarmente eccepivano il difetto assoluto di
giurisdizione,  non  competendo  al  giudice   (ne'   ordinario   ne'
amministrativo) sindacare il  modo  in  cui  lo  Stato  esplicava  le
proprie funzioni sovrane con atti politici. Nel caso in esame, non vi
era alcuna colpa in capo  alle  amministrazioni  convenute,  ne'  una
ipotesi di responsabilita' solidale con la Stretto di Messina spa.. 
    In risposta, poi, alle  domande  riconvenzionali  avanzate  dalla
Stretto di Messina spa., le Amministrazioni  convenute  evidenziavano
che la liquidazione della societa' concessionaria costituiva  l'esito
naturale della mancata  stipulazione  dell'Atto  aggiuntivo  previsto
dall'art. 34-decies. Di conseguenza, gia' a decorrere dalla  delibera
CIPE n. 6 del 2012 di revoca dei finanziamenti, la Stretto di Messina
spa.  avrebbe  dovuto  impostare  il  suo  bilancio  prevendendo  una
svalutazione delle immobilizzazioni materiali, essendo venuta meno la
relativa copertura finanziaria. La fattispecie disciplinata dall'art.
34-decies non poteva in nessun modo essere assimilata alla revoca per
pubblico interesse o per inadempimento del concedente, in quanto  era
il  legislatore  che  -  alla  luce  del  grave  contesto   economico
internazionale e delle oggettive insuperabili difficolta' tecniche ed
economiche dei soggetti destinatari, che non erano stati in grado  di
realizzare le indispensabili condizioni per riattivare  l'intervento,
non avendo la societa' raggiunto  l'occorrente  livello  di  garanzia
tecnica ed economica - aveva disposto la  determinazione  risolutiva.
Era, pertanto, infondata ogni pretesa di indennizzo. 
    All'udienza del 13 gennaio 2015, veniva disposta la riunione  dei
giudizi iscritti ai nn. RG 16617/2013 e 20740/2014 ed assegnati  alle
parti i termini ex art. 183, comma 6 c.p.c.. Successivamente, assunta
la causa in decisione in assenza  di  attivita'  istruttoria,  veniva
proposto dalla Stretto di  Messina  spa.  regolamento  preventivo  di
giurisdizione e, con ordinanza collegiale del 13  dicembre  2017,  il
giudizio veniva sospeso in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione. Ritenuta sussistente la giurisdizione  del
giudice ordinario dalla Suprema Corte, il giudizio veniva riassunto e
nuovamente trattenuto in decisione. 
    Con sentenza parziale del 16 ottobre  2018,  veniva  definito  il
giudizio RG n. 16617/2013, mentre venivano decise solo  alcune  delle
domande proposte nel giudizio RG. n. 20740/2014. In  particolare,  il
collegio cosi' provvedeva: 
        a)  RIGETTA  le  domande  proposte  dalle  societa'  EUROLINK
S.c.p.a. e IMPREGILO S.p.a. (quale mandataria dell'ATI con le imprese
Sacyr  S.a.,  Societa'  Italiana   per   Condotte   D'Acqua   S.p.a.,
Cooperativa Muratori & Cementisti - CMC di Ravenna Soc.coop. a  r.l.,
Ishikawajima - Harima Heavy Industries  CO.  Ltd.,  Argo  Costruzioni
Infrastrutture  S.c.p.a.  Consorzio  stabile)  nel  giudizio  RG.  n.
16617/2013; 
        b) RIGETTA le domande proposte  dalle  societa'  chiamate  in
causa Sacyr S.a., Societa'  Italiana  per  Condotte  D'Acqua  S.p.a.,
Cooperativa Muratori & Cementisti - CMC di Ravenna Soc.coop. a  r.l.,
Ishikawajima - Harima Heavy Industries  CO.  Ltd.,  Argo  Costruzioni
Infrastrutture  S.c.p.a.  Consorzio  stabile  nel  giudizio  RG.   n.
16617/2013; 
        c) RIGETTA le domande riconvenzionali proposte dalla  Stretto
di Messina spa. nel giudizio RG. n. 16617/2013; 
        d) DICHIARA integralmente compensate le  spese  di  lite  tra
tutte le parti del giudizio RG. n. 16617/2013; 
        e) RIGETTA  la  domanda  principale  proposta  dalla  Parsons
Transportation Group Inc. nel al giudizio riunito RG  n.  20740/2014,
volta a sentir dichiarare la risoluzione del Contratto stipulato  con
la  Stretto  di  Messina  spa.  in   data   16   gennaio   2006   per
l'inadempimento della parte committente; 
        f) RIGETTA le domande riconvenzionali proposte dalla  Stretto
di Messina spa. sub nn. 5), 6), 7), 8), 9),  10)  della  comparsa  di
costituzione nel giudizio RG n. 20740/2014. 
        g) in accoglimento della prima domanda  subordinata  proposta
dalla Parsons Transportation Group Inc., ACCERTA che il Contratto  di
affidamento dei servizi di Project Management Consulting stipulato in
data 16 gennaio 2006 tra la Stretto di  Messina  spa.  e  la  Parsons
Transportation Group  Inc.  si  e'  sciolto  a  seguito  del  recesso
unilaterale della parte committente con effetto dal 2 novembre 2012. 
        h) DISPONE la separazione delle ulteriori domande subordinate
proposte dalla  Parsons  Transportation  Group  Inc.,  nonche'  delle
domande riconvenzionali proposte dalla Stretto di  Messina  spa.  sub
11)  e  12)  della  comparsa  di  costituzione  nel  giudizio  RG  n.
20740/2014, come da separata ordinanza di rimessione della  questione
alla Corte costituzionale. 
 
                         Osserva in diritto 
 
1 - Ricostruzione storica della vicenda. 
    La controversia oggetto del giudizio trae origine  dalle  vicende
legate  alla  realizzazione  di  un  collegamento  stabile  viario  e
ferroviario tra la Sicilia e la Calabria. 
    Giova, quindi, innanzitutto ricostruire i tratti  salienti  delle
suddette vicende.  In  particolare,  la  realizzazione  del  suddetto
collegamento mediante  la  costruzione  di  un  ponte  sospeso  sullo
Stretto di Messina e' stata prevista dalla legge n.  1158  del  1971,
affidandone la concessione dello studio, della progettazione e  della
costruzione, nonche' dell'esercizio del solo collegamento  viario  ad
una societa' a totale capitale pubblico. 
    In attuazione della citata legge n. 1158, in data 11 giugno 1981,
e' stata costituita la societa' Stretto di Messina spa., inizialmente
partecipata  maggioritariamente  dall'IRI  e  per  il  restante   49%
dall'Azienda autonoma delle Ferrovie dello  Stato,  dall'Anas,  dalle
regioni Sicilia  e  Calabria  e  da  altre  amministrazioni  ed  enti
pubblici. Nel 1985, la concessione  attribuita  per  legge  e'  stata
assentita con decreto ministeriale  alla  Stretto  di  Messina  spa.,
individuando quali soggetti concedenti le  Aziende  autonome  Anas  e
Ferrovie dello Stato. 
    Con deliberazione n. 121 del 21 dicembre  2001,  il  Ponte  sullo
Stretto di Messina e' stato inserito tra le infrastrutture  pubbliche
di rilevanza nazionale ai sensi della Legge n. 443 del 2001. 
    Il decreto legislativo n. 114 del 2003, poi, modificando la Legge
n. 1158 del 1971, ha qualificato la Stretto  di  Messina  spa.  quale
organismo di diritto pubblico nonche' concessionario ex lege  per  la
progettazione, realizzazione e gestione  del  Ponte  e  dei  relativi
servizi ed il Ministero  delle  Infrastrutture  e  dei  Trasporti  ha
assunto  la  funzione  di  concedente,  subentrando  alle  suindicate
aziende  pubbliche  nei  rapporti  con  la  societa'  concessionaria.
L'Opera, inoltre, e' stata assoggettata alla  disciplina  di  cui  al
decreto legislativo n. 190 del  2002,  relativa  alle  infrastrutture
strategiche. 
    Con delibera  n.  66  dell'1.8.2003,  il  CIPE  ha  approvato  il
progetto preliminare dell'Opera e,  in  data  30  dicembre  2003,  il
Ministero delle Infrastrutture e la Stretto  di  Messina  spa.  hanno
stipulato una  convenzione  per  la  regolamentazione  dei  reciproci
rapporti e per il Piano finanziario dell'Opera stessa. 
    Sicche', nell'aprile 2004, la Stretto di Messina spa. (nella  cui
compagine  societaria  era  subentrata  la   Fintecna   spa.,   quale
successore dell'IRI) ha bandito due gare: la prima per  l'affidamento
ad un Contraente generale della progettazione definitiva ed esecutiva
e della realizzazione del Ponte e dei relativi collegamenti  stradali
e ferroviari; la seconda per l'affidamento  dei  servizi  di  Project
Management Consulting al fine di espletare le attivita' di verifica e
controllo sulle prestazioni da rendere dal  Contraente  generale  sia
nella fase di progettazione che di realizzazione del Ponte. 
    La prima gara (di affidamento a  Contraente  Generale)  e'  stata
aggiudicata  in  favore  dell'Ati  costituita   tra   la   capogruppo
mandataria Impregilo spa. e le mandanti Sacyr SA., Societa'  Italiana
per Condotte d'Acqua spa., Cooperativa Muratori & Cementisti - CMC di
Ravenna soc.coop a  r.l.,  Ishikawajima  -  Harima  Heavy  Industries
Co.Ltd. e Argo Costruzioni Infrastrutture Scpa.. Successivamente,  le
suddette societa' partecipanti all'Ati hanno costituito una  societa'
di  progetto,  denominata  Eurolink  Scpa.  ai  sensi   del   decreto
legislativo n. 190 del 2002, che e' subentrata nei  rapporti  facenti
capo all'Ati. 
    La seconda gara (di affidamento dei servizi di Project Management
Consulting)  e'  stata   aggiudicata   in   favore   della   societa'
statunitense Parsons Transportation Group Inc.. 
    La societa' Stretto di Messina spa.,  quindi,  ha  stipulato  due
diversi contratti tra loro collegati: in  data  16  gennaio  2006  il
contratto di affidamento dei servizi di Project Management Consulting
con la Parsons e in data 27 marzo 2006 il contratto di affidamento  a
Contraente Generale con la Eurolink Scpa.. 
    Successivamente alla stipulazione dei due  contratti,  pero',  il
nuovo Parlamento ha modificato il precedente indirizzo, decidendo  di
procrastinare la realizzazione del Ponte. Ed infatti, con il  DL.  n.
262 del 2006, poi convertito nella Legge n. 286 del  2006,  le  somme
originariamente  destinate  alla   sottoscrizione   dell'aumento   di
capitale della Stretto di Messina spa. sono state destinate a diverse
utilizzazioni.  Di  conseguenza,  la  Stretto  di  Messina  spa.   ha
comunicato alla Eurolink ed alla Parsons  che  non  si  sarebbe  dato
avvio alla esecuzione dell'Opera. 
    Tuttavia, a  seguito  di  un  ulteriore  cambio  di  orientamento
politico emerso da nuove elezioni, il Ponte sullo  Stretto  e'  stata
nuovamente considerata un'opera  di  carattere  prioritario,  venendo
reinserita tra le infrastrutture strategiche previste  nel  documento
di programmazione Economico-finanziaria per il triennio 2009-2011. In
particolare, il DL. n. 78 del 2009, convertito nella Legge n. 102 del
2009, ha disposto l'assegnazione alla  societa'  Stretto  di  Messina
spa. di un contributo di 1.300 milioni di euro. 
    Di conseguenza, in data 25 settembre 2009, la Stretto di  Messina
spa. e la Eurolink hanno stipulato un  Atto  Aggiuntivo,  integrativo
del contratto stipulato in data 27 marzo 2006, in base al quale  sono
state  definite  le  modalita'  di   riavvio   delle   attivita'   di
realizzazione dell'Opera e  si  e'  proceduto  all'affidamento  della
Variante di Cannitello. In tale accordo, le parti hanno convenuto  le
modalita'  di  aggiornamento  del  prezzo  contrattuale,  nonche'  la
rinuncia  alle  riserve  medio  tempore  formulate   dal   Contraente
Generale. Poi, all'art. 5.2, hanno convenuto che - in caso di mancata
approvazione del Progetto  Definitivo  entro  540  giorni  dalla  sua
presentazione da parte di Eurolink - le parti si sarebbero incontrate
per rivedere  le  condizioni  contrattuali  e,  in  caso  di  mancato
accordo, ad entrambe sarebbe spettato  il  diritto  di  recedere  dal
contratto, con riconoscimento  in  ogni  caso  alla  Eurolink  di  un
indennizzo, da calcolarsi secondo i criteri ivi indicati. 
    Analogamente, anche la Parsons ha stipulato (in  data  20  maggio
2009 e poi confermato in data 25 settembre 2009) un atto  integrativo
per disciplinare la ripresa delle attivita', rinunciando al  rimborso
di parte delle spese sino a quel momento sostenute. 
    Sono state, quindi, riavviate le attivita' per  la  realizzazione
dell'Opera e, in data 20 dicembre 2010, la Eurolink ha consegnato  il
Progetto definitivo alla Stretto di Messina spa. e si  e'  aperto  un
complesso iter di verifica dello stesso,  con  notevole  allungamento
dei tempi contrattuali. Di conseguenza,  sono  stati  stipulati  vari
atti integrativi, tra cui quello con il quale Stretto di Messina spa.
ed il Contraente generale, preso atto del protrarsi  delle  attivita'
di verifica del Progetto Definitivo, hanno fissato  convenzionalmente
al 12 aprile 2011 la data di consegna del Progetto definitivo ai fini
della decorrenza  degli  ulteriori  termini  previsti  dall'art.  5.2
dell'accordo aggiuntivo del 25 settembre 2009. 
    In data 29 luglio 2011, il  Consiglio  di  amministrazione  della
Stretto  di  Messina  spa.  ha  approvato  il   Progetto   definitivo
dell'Opera,  dando  avvio   al   processo   approvativo   presso   le
Amministrazioni. 
    Tuttavia, progressivamente dal 2012 lo Stato italiano ha iniziato
a  disimpegnare  gli   investimenti   inizialmente   destinati   alla
realizzazione del Ponte, senza che intervenisse la  approvazione  del
Progetto definitivo. 
    Sicche', in data 4 ottobre 2012 la Eurolink, ritenendo che  fosse
decorso in  data  3  ottobre  2012  il  termine  di  540  giorni  per
l'approvazione del Progetto definitivo da parte del CIPE, ha  chiesto
la revisione delle condizioni contrattuali alla  Stretto  di  Messina
spa. 
    Successivamente, in data 3 novembre 2012, essendo decorsi  trenta
giorni  dalla  richiesta  e  non  essendovi  stata  alcuna  revisione
contrattuale,  la  Eurolink  ha  dichiarato  di  voler  recedere  dal
Contratto ai sensi dell'art. 5.2 dell'Accordo aggiuntivo. 
    Tuttavia, il giorno prima di tale  dichiarazione  della  Eurolink
(in data 2 novembre 2012), il Governo ha emanato un decreto legge (il
DL. n. 187 del 2012), motivato  dalla  "straordinaria  necessita'  ed
urgenza  di  garantire,  in  considerazione  dell'attuale  stato   di
tensione nei mercati finanziari internazionali, la verifica, a tutela
della finanza pubblica,  della  sostenibilita'  del  piano  economico
finanziario del collegamento stabile viario e ferroviario tra Sicilia
e Continente". In particolare, il citato decreto legge - a  decorrere
dalla sua entrata in vigore (in data 2 novembre 2012)  -  ha  sospeso
tutti gli effetti dei contratti stipulati dalla  Stretto  di  Messina
spa. con il Contraente generale e gli altri affidatari; ha introdotto
una procedura complessa per la  ricerca  di  un  nuovo  finanziamento
dell'Opera,  disponendo  che  la  Stretto  di  Messina  spa.  ed   il
Contraente generale  avrebbero  dovuto  stipulare  un  apposito  atto
aggiuntivo. In caso di mancata stipulazione di tale  atto  aggiuntivo
entro il termine dell'1 marzo 2013, dovevano ritenersi caducati,  con
effetto dalla data di entrata  in  vigore  del  decreto  (2  novembre
2012), tutti gli atti relativi ai rapporti di concessione, nonche' le
convenzioni ed  ogni  altro  rapporto  contrattuale  stipulato  dalla
societa' concessionaria. 
    Di conseguenza, sono state avviate iniziative tra  le  parti  per
addivenire  ad  un  testo  condiviso.  Tuttavia,  non  essendo  stato
sottoscritto nel termine dell'1 marzo 2013 l'Atto aggiuntivo previsto
dal citato decreto legge, la Stretto di Messina s.p.a. -  in  data  2
marzo 2013 - ha comunicato  alla  Eurolink  essere  intervenuta,  con
effetto  dal  2  novembre  2012,  la  caducazione  del  Contratto  di
affidamento a contraente generale in  ragione  delle  previsioni  del
decreto legge medesimo. In pari data, analoga comunicazione e'  stata
inviata anche alla Parsons  relativamente  al  contratto  di  Project
Management Consulting con effetto dal 2 novembre 2012. 
    In attuazione delle previsioni  del  citato  decreto  legge,  poi
trasfuso nell'art. 34-decies della Legge n. 221 del 2012, la societa'
Stretto di Messina spa. e' stata posta in liquidazione. 
    2 - La natura della societa' concessionaria  Stretto  di  Messina
spa.. 
    2.1 - Sull'affidamento in house providing. 
    L'espressione in house providing (usata per  la  prima  volta  in
sede comunitaria nel Libro Bianco sugli appalti del 1998)  identifica
il fenomeno di "autoproduzione" di beni, servizi o  lavori  da  parte
della    pubblica    amministrazione.    L'autoproduzione    consiste
nell'acquisire un bene o un servizio, attingendoli all'interno  della
propria compagine organizzativa senza  ricorrere  a  "terzi"  tramite
gara (cosi' detta esternalizzazione) e dunque al mercato. 
    La modalita' di affidamento "in house"  costituisce  un'eccezione
al principio generale dell'applicazione delle procedure  ad  evidenza
pubblica per gli affidamenti di appalti e concessioni, atteso  che  -
escludendo la concorrenza - non fa sorgere l'esigenza di  parita'  di
trattamento tra gli operatori economici e, dunque, la  necessita'  di
esperire procedure di gara. La legittimita' della  scelta  in  favore
dell'autoproduzione, poi, trova  fondamento  nel  c.d.  principio  di
"autoorganizzazione amministrativa",  il  quale  trova  a  sua  volta
corrispondenza nel piu' generale principio comunitario  di  autonomia
istituzionale. 
    Tuttavia,  trattandosi  appunto  di  un   istituto   eccezionale,
rispetto  alla  regola   generale   dell'affidamento   esternalizzato
mediante  espletamento  della  gara  selettiva,   la   giurisprudenza
comunitaria ha elaborato una serie di criteri, al fine di armonizzare
i principi relativi  alla  tutela  della  concorrenza  (presenti  nel
Trattato  CE),  con  il  potere  di  auto-organizzazione   egualmente
riconosciuto alle Amministrazioni pubbliche dei singoli Stati. 
    In particolare, la Corte di  Giustizia  ha  per  la  prima  volta
delineato la figura degli affidamenti "in house", nella sentenza  sul
caso Teckal S.r.l. contro il  Comune  di  Viano  (18  novembre  1999,
procedimento C-107/98), precisando che la normativa comunitaria sulle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici  di  forniture  e'
applicabile solo ove l'Amministrazione intenda stipulare un contratto
a titolo oneroso con un ente giuridicamente distinto da essa. 
    Poi,  nel  caso  Ri.San  contro  Comune  di  Ischia  (sentenza  9
settembre 1999, procedimento C-108/98), e'  stato  precisato  che  la
qualita' di societa' per azioni  non  basta  ad  escludere  che  essa
faccia parte della pubblica amministrazione. Pertanto, deve essere il
giudice nazionale  -  caso  per  caso  e  sulla  base  di  un'analisi
funzionale fondata sulle  circostanze  di  fatto-  a  verificare  che
l'organismo societario incaricato del servizio sia parte della stessa
Amministrazione affidataria e  se  vi  sia  o  meno  un  incontro  di
volonta' tra soggetti giuridicamente distinti. 
    In questo modo la Corte ha enucleato  -  seppur  in  negativo-  i
criteri ed i  requisiti  sulla  base  dei  quali  le  Amministrazioni
Pubbliche  possono  procedere  ad   affidamenti   senza   il   previo
esperimento di gare pubbliche, ossia  senza  applicare  le  procedure
previste dalle direttive comunitarie. 
    In particolare, la  Corte  ha  affermato  che,  in  presenza  dei
requisiti del c.d. controllo  analogo  e  della  realizzazione  della
parte piu' importante della propria attivita' nei confronti dell'ente
pubblico  controllante,  non  si  puo'  parlare  di  "terzieta'"  del
soggetto affidatario, venendo  meno  in  radice  la  possibilita'  di
instaurare un rapporto  contrattuale  in  senso  proprio  in  ragione
dell'assenza della bilateralita'. 
    Di conseguenza, e' necessario verificare  la  sussistenza  -  nei
rapporti tra concedente e concessionario (e cioe'  tra  il  Ministero
delle Infrastrutture  e  la  Stretto  di  Messina  spa.)  -  dei  due
requisiti del "controllo analogo" e  della  "destinazione  prevalente
dell'attivita'", delineati dalla giurisprudenza comunitaria. Infatti,
come gia' evidenziato, l'ente  in  house  non  puo'  ritenersi  terzo
rispetto all'amministrazione controllante, ma deve considerarsi  come
uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa. 
    2.2 - Sul concetto di "controllo analogo". 
    In particolare, quanto  al  requisito  del  "controllo  analogo",
nella sentenza Anav c. Comune di Bari, la Corte ha enucleato  quattro
elementi  per  determinare  la  sussistenza  di  tale  controllo;   e
precisamente: 
        1)  l'oggetto  sociale  non  deve  essere  esteso  a  settori
disomogenei; 
        2) il capitale sociale non deve essere aperto ai privati o  a
soggetti pubblici non coinvolti; 
        3) l'ambito territoriale di attivita'  deve  essere  limitato
entro i confini geografici del soggetto che partecipa alla societa'; 
        4) il sistema di amministrazione e controllo  della  societa'
deve essere disegnato  in  modo  tale  da  non  concedere  all'organo
amministrativo  della  societa'  poteri  di   gestione   esercitabili
autonomamente senza alcuna possibile ingerenza esterna. 
    Nella  sentenza  sul  caso  Stadt   Halle   (11   gennaio   2005,
procedimento  C-26/03),  la  Corte  -  ai  fini  della   legittimita'
dell'aggiudicazione  senza  gara  -  ha  altresi'  affermato  che  la
relazione "in house" non puo' sussistere tra enti locali  e  societa'
dai medesimi controllate ove si tratti di  societa'  pubblico-private
(ossia  societa'  miste),  in  quanto   "la   partecipazione,   anche
minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una  societa'  alla
quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice  in  questione
esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare  sulla
detta societa' un controllo analogo a quello che  essa  esercita  sui
propri servizi". 
    Tali  orientamenti,  poi,  sono  stati  da  ultimo  precisati   e
parzialmente modificati con la sentenza  della  Corte  di  giustizia,
sez. II, 17 luglio  2008,  Commissione  delle  Comunita'  Europee  c.
Repubblica italiana - causa C-371/05 e  la  sentenza,  sez.  III,  13
novembre 2008, C-324/07 (cd. sentenza Coditel). In  particolare,  con
la prima pronuncia la Corte ha rilevato che  la  possibilita'  per  i
privati di partecipare al capitale della societa' aggiudicataria  non
e' sufficiente, in assenza di una loro  effettiva  partecipazione  al
momento della stipula della convenzione tra  l'ente  affidante  e  la
societa' affidataria in house, per concludere che non sia soddisfatto
il requisito del "controllo analogo". 
    Quindi, la presenza di soci privati nell'organismo in  house  non
e' assolutamente  ostativa  alla  configurabilita'  di  un  controllo
analogo, se intervenuta successivamente all'affidamento diretto e non
ancora esistente al momento della stipula del contratto. 
    Con la sentenza Coditel, poi, la Corte di giustizia  ha  ritenuto
che "il controllo esercitato sull'ente concessionario da un'autorita'
pubblica concedente sia analogo a quello che  la  medesima  autorita'
esercita sui propri servizi, ma non identico ad esso in ogni elemento
...L'importante   e'   che   il   controllo   esercitato    sull'ente
concessionario sia effettivo, pur non risultando  indispensabile  che
sia individuale". 
    2.3 - Sul concetto di "attivita' prevalente". 
    Quanto al secondo requisito, il giudice comunitario  ha  chiarito
che tale condizione e' finalizzata  a  garantire  che  la  disciplina
comunitaria a tutela della concorrenza continui ad essere applicabile
nel caso in cui un'impresa controllata da uno o piu' enti sia  attiva
sul mercato  e  possa  pertanto  entrare  in  concorrenza  con  altre
imprese. 
    Secondo il giudice comunitario, infatti,  e'  necessario  che  le
prestazioni di detta impresa siano sostanzialmente destinate  in  via
esclusiva all'ente affidante. 
    Quindi,  nel  valutare  se  un'impresa  svolga  la   parte   piu'
importante della sua attivita' con l'ente pubblico che la detiene, si
deve tener conto di tutte le attivita' realizzate  da  tale  impresa,
indipendentemente da chi remunera tale attivita',  potendo  trattarsi
della  stessa  amministrazione  aggiudicatrice  o  dell'utente  delle
prestazioni erogate, mentre non rileva il territorio in cui e' svolta
l'attivita'. 
    In conclusione, dunque, il fenomeno  dell'in  house  integra  una
mera  soluzione  organizzativa,  mediante  la   quale   non   si   ha
l'affidamento del servizio ad un soggetto terzo, bensi' una  semplice
riorganizzazione dell'erogazione del servizio che  rimane  imputabile
all'ente aggiudicatore. 
    Sicche', se il  concessionario  e'  sottoposto  ad  un  controllo
gestionale talmente pervasivo da parte del socio pubblico  da  essere
"analogo" a quello che quest'ultimo esercita sui propri uffici  e  se
lo stesso operatore esercita la parte piu' importante  della  propria
attivita' a favore del socio  pubblico  controllante,  non  viene  in
rilievo  l'esigenza  di  tutela  della  concorrenza  poiche'  si  sta
operando al di fuori del perimetro del mercato  e  cioe'  all'interno
della stessa amministrazione. 
    Analoghi requisiti sono stati individuati  dalla  Suprema  Corte,
che ha ritenuto che  il  profilo  organizzativo  e  funzionale  delle
societa'  in  house  providing  e'  caratterizzato   dalle   seguenti
peculiarita': le azioni o le quote di partecipazione al capitale  non
possono, per statuto, appartenere neppure in parte  a  soci  privati;
l'oggetto sociale prevede un'attivita' da prestare prevalentemente in
favore dell'ente pubblico partecipante; lo statuto  prevede  il  loro
assoggettamento ad una minuziosa forma  di  controllo  da  parte  del
socio pubblico cosi' da implicare una subordinazione dei suoi  organi
amministrativi  alla  volonta'  del  socio,  al  punto  da   renderle
assimilabili ad una sua articolazione interna (cfr. Cass. Civ. SS.UU.
n. 26283/13; Cass. Civ. SS.UU. n. 5848/15). Tali caratteristiche,  ha
osservato la Corte, inducono ad escludere che tali  societa'  possano
essere considerate un'entita' posta al di fuori  dell'ente  pubblico,
il quale ne dispone come di una propria articolazione interna, con la
conseguenza  che  le  societa'  in  house  non  possono  considerarsi
societa' di capitali intese come  persone  giuridiche  autonome,  cui
corrisponda un autonomo centro decisionale e  di  cui  sia  possibile
individuare un interesse loro proprio. 
    2.4 - Conclusioni sulla natura della Stretto di Messina spa. 
    Alla luce  della  suindicata  interpretazione  giurisprudenziale,
appare quindi necessario verificare in concreto se - con  riferimento
alla societa' Stretto di Messina spa. - possano  riscontrarsi  i  due
requisiti del "controllo analogo" e della "attivita' prevalente". 
    Ebbene,  dall'esame  della  normativa  riguardante  la   predetta
societa' e del relativo Statuto, i requisiti  in  questione  appaiono
sussistenti. 
    Ed invero, la Stretto di Messina  spa.  e'  stata  costituita  in
attuazione  della  Legge  n.  1158  del   1971,   che   ha   disposto
l'affidamento dello studio, della progettazione e della  costruzione,
nonche' dell'esercizio del solo collegamento viario, ad una  societa'
per azioni,  al  cui  capitale  sociale  partecipano  in  misura  non
inferiore al  51%  la  societa'  Anas  spa.,  le  regioni  Sicilia  e
Calabria, nonche' altre societa' controllate,  anche  indirettamente,
dallo Stato (art. 1, comma 1). Inizialmente era,  altresi',  previsto
che  il  restante  49%  del  capitale  sociale   fosse   sottoscritto
dall'Azienda autonoma delle Ferrovie dello  Stato,  dall'Anas,  dalle
regioni Sicilia e Calabria e  da  amministrazioni  ed  enti  pubblici
(art. 1 comma 2), poi abrogato dal DL n. 262 del 2006. L'art. 2 della
citata Legge n. 1158 del 1971 stabilisce, inoltre,  che  la  societa'
concessionaria  dovra'  avere  come  scopo  sociale  lo  studio,   la
progettazione e la costruzione  dell'opera  in  questione  e  che  il
presidente  del  consiglio  di  amministrazione,   in   deroga   alle
disposizioni del codice  civile,  verra'  nominato  con  decreto  del
Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i Ministri per
i lavori pubblici, per i trasporti e  l'aviazione  civile  e  per  le
partecipazioni statali. 
    Tale normativa, quindi, stabilisce che la Stretto di Messina spa.
e'  interamente  partecipata  dall'ANAS  S.p.a.   e   dalle   regioni
interessate o da soggetti sottoposti al controllo,  anche  indiretto,
dello  Stato.  L'oggetto   sociale   e',   inoltre,   limitato   alla
realizzazione dell'Opera in questione  ed  alla  successiva  gestione
dello stesso. 
    Tali caratteristiche emergono anche dallo  stesso  Statuto  della
Stretto di Messina spa., dal quale risulta che  la  societa'  ha  per
scopo, a norma e nei termini stabiliti dalla Legge n. 1158 del  1971,
lo studio, la progettazione e  la  costruzione  di  un'opera  per  il
collegamento stabile viario e ferroviario e dei pubblici servizi  tra
la Sicilia e il Continente; nonche' l'esercizio del collegamento e la
manutenzione dell'opera (art. 2); al capitale sociale partecipano, in
misura non inferiore al 51%, Anas  spa.,  Regione  Calabria,  Regione
Siciliana e altre societa' controllate, anche  indirettamente,  dallo
Stato (art. 8); e' ammesso  il  trasferimento  delle  azioni,  previo
consenso motivato del Consiglio di amministrazione e fatta salva,  in
ogni caso, la  partecipazione  maggioritaria  dell'Anas  e  di  altre
societa'  partecipate  dallo  Stato  (art.   8);   la   societa'   e'
amministrata da un Consiglio di amministrazione  composto  da  undici
membri, dei quali uno nominato da Rete Ferroviaria Italiana spa. (che
lo sceglie tra il proprio personale dirigente in  servizio),  uno  da
Anas spa. (che lo sceglie  tra  il  proprio  personale  dirigente  in
servizio), uno dalla Regione Siciliana e uno dalla Regione  Calabria.
I restanti amministratori, tre  dei  quali  previa  designazione  del
Ministero  delle  Infrastrutture  e  dei  Trasporti,  sono   nominati
dall'assemblea dei soci (art. 22); il  Presidente  del  Consiglio  di
amministrazione  sara'  nominato  con  decreto  del  Presidente   del
Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministero dei  Trasporti  e
delle Infrastrutture ed il Ministero dello Sviluppo  Economico  (art.
23); il Collegio sindacale si compone di tre  organi  effettivi:  uno
nominato da Rete Ferroviaria Italiana spa.,  uno  nominato  dall'Anas
spa. ed il terzo dall'assemblea dei soci, unitamente ai  due  sindaci
supplenti (art. 32) 
    Quanto all'Anas spa.  (attualmente  socio  di  maggioranza  della
Stretto di Messina spa.), devesi  innanzitutto  ricordare  che  negli
ultimi anni, l'ANAS e' stata  oggetto  di  una  serie  di  successivi
interventi normativi  finalizzati  alla  trasformazione  dell'azienda
(che prima del 2002  aveva  la  natura  giuridica  di  ente  pubblico
economico) in societa' per azioni. 
    Le disposizioni che hanno provveduto alla trasformazione  in  Spa
sono rinvenibili, in primo luogo, all'articolo 7 del decreto legge  8
luglio 2002, n. 138 (convertito, con modificazioni,  dalla  legge  n.
178 del 2002). In sintesi, all'ANAS Spa.  sono  stati  attribuiti,  a
titolo di concessione, i  compiti  fino  ad  allora  attribuiti  alla
stessa ANAS in via diretta (e gia' elencati all'art. 2, lettere a)-g)
e alla lettera l)  del  decreto  legislativo  n.  143  del  1994).  I
principali fra tali compiti sono: gestione delle strade e  autostrade
di proprieta' dello Stato;  manutenzione  ordinaria  e  straordinaria
delle stesse; interventi di adeguamento della rete e  della  relativa
segnaletica;  costruzione  di  nuove   strade   e   autostrade,   sia
direttamente che in concessione; vigilanza sull'esecuzione dei lavori
di costruzione delle opere date  in  concessione  e  controllo  sulla
gestione  delle  autostrade  il  cui  esercizio  sia  stato  dato  in
concessione;  approvazione  dei  progetti  dei  lavori   oggetto   di
concessione. 
    Tali  disposizioni  prevedono  che  le  azioni  dell'Anas   siano
inalienabili ed attribuite interamente al  Ministro  dell'economia  e
delle finanze, il quale esercita i  diritti  dell'azionista  d'intesa
con il Ministro delle infrastrutture  e  dei  trasporti,  secondo  le
direttive del Presidente del Consiglio dei  Ministri.  Il  presidente
della societa' e gli  altri  componenti  degli  organi  sociali  sono
designati dal Ministro  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,  ad
eccezione  del  presidente  del  collegio  sindacale,  il  quale   e'
designato dal Ministro dell'economia  e  delle  finanze.  L'attivita'
dell'Anas e' soggetta al controllo della Corte dei Conti ed  esercita
tutti i compiti e le  funzioni  precedentemente  attribuite  all'ente
pubblico. Inoltre, la stessa puo' operare  solo  dando  attuazione  a
piani pluriennali di viabilita',  di  durata  decennale,  che  devono
essere approvati dal Ministero delle Infrastrutture. 
    Si  e'  previsto,  poi,  che  con  decreto  del  Ministro   delle
infrastrutture  e   dei   trasporti,   d'intesa   con   il   Ministro
dell'economia e  delle  finanze,  fosse  approvato  lo  schema  dello
Statuto, effettivamente approvato il 27 luglio 2004, nel quale l'Anas
spa. e' espressamente qualificata come organismo di diritto pubblico. 
    L'analisi  delle  suindicate  disposizioni,  pertanto,  induce  a
ritenere sussistenti, nel caso concreto, i  due  requisiti  richiesti
dalla giurisprudenza comunitaria al fine della  individuazione  della
fattispecie dell'in house providing. 
    Ed invero, quanto al "controllo analogo", il capitale sociale sia
della Stretto di Messina che dell'Anas e' interamente in mano ad enti
pubblici, non e' aperto a privati (se non a determinate 
    condizioni);  gli  organi  amministrativi  e  di  controllo  sono
direttamente   sottoposti   al   controllo   degli   enti    pubblici
partecipanti,  senza  la  possibilita'  di  esercitare  autonomamente
poteri di gestione, strategie e politiche aziendali. 
    Di conseguenza,  il  controllo  esercitato  dagli  enti  pubblici
partecipanti appare effettivo, e non meramente formale  o  apparente,
attenendo alle strategie, alle politiche aziendali,  al  bilancio  ed
alla qualita' della amministrazione. In concreto, quindi,  agli  enti
pubblici partecipanti  si  riconoscono  maggiori  poteri  rispetto  a
quelli che il diritto societario riconosce alla  maggioranza  sociale
nell'ambito delle societa' private. 
    Quanto, poi, all'"attivita'  prevalente",  entrambe  le  societa'
sono state costituite al solo scopo di esercitare un oggetto  sociale
specificamente individuato e relativo a settori omogenei,  senza  che
sia  prevista  alcuna  possibilita'  di  ampliamento  dello   stesso.
Entrambe possono esercitare le loro prestazioni solo in favore  degli
enti pubblici che le partecipano, con cio'  escludendo,  quindi,  che
abbiano una vocazione commerciale ed imprenditoriale  e  che  possano
porsi in una posizione di concorrenza con le imprese private. 
    Alla luce di tutte le  suesposte  considerazioni,  dunque,  nella
fattispecie in esame puo' ritenersi configurabile il fenomeno dell'in
house providing. 
    Ed invero, attualmente i soci della Stretto di Messina spa.  sono
i seguenti: Anas  spa.  (81,848%);  Rete  Ferroviaria  italiana  spa.
(13,00%); Regione Calabria (2,576%); Regione Siciliana  (2,576%).  La
predetta risulta avere le caratteristiche di una societa'  in  house,
essendovi una dipendenza finanziaria ed  organizzativa  dai  soggetti
pubblici titolari del relativo capitale sociale, che va  ben  aldila'
dell'influenza  dominante  che  il  titolare   della   partecipazione
maggioritaria puo' esercitare sull'organo di controllo di una  comune
societa' di capitali. A loro volta, infatti, le regioni, l'Anas e  la
RFI spa. sono pacificamente soggetti pubblici. Del resto,  l'Anas  e'
interamente partecipata dal Ministero dell'economia  e  vigilata  dal
Ministero delle Infrastrutture. In particolare,  sussiste  dipendenza
finanziaria perche' l'Anas non puo' cedere le proprie quote ad  altri
soggetti, tanto meno privati,  e  sussiste  dipendenza  organizzativa
perche' e' totalmente controllata dal Ministero, che sceglie anche il
management. 
    Di conseguenza, la societa'  concessionaria  Stretto  di  Messina
spa. non puo' essere  considerata  un  soggetto  diverso  dagli  enti
pubblici   che   ne   rappresentano   i   soci   ed,   in   generale,
dall'Amministrazione concedente. 
    3 - La giurisdizione del giudice ordinario. 
    Nulla   quaestio   con   riferimento   alla   sussistenza   della
giurisdizione  del  giudice  ordinario   a   decidere   la   presente
controversia. 
    Ed invero, nel corso del giudizio, la Stretto di Messina spa.  ha
proposto regolamento preventivo di giurisdizione, all'esito del quale
le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto sussistente
la giurisdizione del giudice ordinario. 
    In particolare, la Suprema Corte ha statuito che "Con riferimento
all'attivita' negoziale della P.A., devono  ritenersi  devolute  alla
giurisdizione del giudice amministrativo tutte  le  controversie  che
attengono  alla  fase  preliminare,  antecedente  e   prodromica   al
contratto, inerenti alla formazione della volonta' e alla scelta  del
contraente privato in base alle regole della cd.  evidenza  pubblica,
mentre appartengono alla giurisdizione ordinaria quelle che  radicano
le loro ragioni  nella  serie  negoziale  successiva,  che  va  dalla
stipulazione del contratto fino alle vicende del suo  adempimento,  e
riguardano la disciplina dei rapporti scaturenti dal contratto, senza
che l'asse della giurisdizione sia spostata dall'adozione, nel  corso
del rapporto contrattuale, di determinazioni della parte pubblica  in
attuazione di sopravvenienze normative,  che  comunque  si  collocano
nell'alveo di un rapporto ormai paritetico. (Sez. U - , Ordinanza  n.
2144 del 29/01/2018, Rv. 647037 - 02)". 
    4 -  Delimitazione  del  thema  decidendum  del  giudizio  RG  n.
20740/2014. 
    Nel giudizio RG n. 20740/2014, la  Parsons  Transportation  Group
Inc. ha chiesto accertarsi e dichiararsi la risoluzione del Contratto
di Project Management Consulting, stipulato in data 16  gennaio  2006
con la Stretto di Messina spa. per fatto  e  colpa  di  quest'ultima,
nonche' del Ministero delle Infrastrutture e dei  Trasporti  e  della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, con  conseguente  condanna  di
tutti i convenuti a ristorare la Parsons di tutti i costi sostenuti o
da sostenere, dei corrispettivi ancora dovuti  e  di  tutti  i  danni
sofferti. 
    In  via  subordinata,  la  Parsons  ha  chiesto  di  accertare  e
dichiarare il recesso esercitato dalla Stretto  di  Messina  spa.  in
data 2 marzo 2013 e condannare la predetta e le altre Amministrazioni
convenute al pagamento degli indennizzi previsi dall'art. 1671  c.c.;
ovvero in subordine quelli previsti  dall'art.  25.4  del  Contratto;
ovvero ancora in subordine previsti dall'art.  7  della  Intesa  PMC;
ovvero in ulteriore subordine al pagamento delle somme  previste  dal
citato art. 34-decies L. 221/2012, oltre in ogni caso al risarcimento
degli  ulteriori  danni  patiti  a  seguito  della  caducazione   del
contratto e della mancata realizzazione dell'Opera. 
    Orbene, le domande suindicate (nell'ambito delle quali si discute
di risoluzione ovvero di recesso dal contratto)  e  la  ricostruzione
storica della vicenda (che ha portato alla caducazione  ex  lege  del
contratto di affidamento oggetto  di  causa)  rendono  opportuna  una
breve  disamina  della  disciplina  dello  scioglimento  del  vincolo
contrattuale nell'ambito degli appalti pubblici. 
    5 - La disciplina dello  scioglimento  del  vincolo  contrattuale
nell'ambito degli appalti pubblici. 
    In generale, il contratto di appalto di opere pubbliche  ha  fine
con l'avverarsi di una delle cause di estinzione  comuni  a  tutti  i
contratti   sinallagmatici,   ivi   compresa   la   risoluzione   per
inadempimento, che puo' essere pronunciata su istanza della  Stazione
appaltante o dell'appaltatore per fatto e colpa della controparte. 
    Accanto a tali ipotesi generali, poi,  giova  ricordare  che  una
causa  tipica  di  estinzione  del  contratto  di  appalto  di  opere
pubbliche e' il recesso per volonta' unilaterale dell'Amministrazione
(art. 134 decreto legislativo 163 del 2006 e in precedenza  art.  345
L.gen. Lavori Pubblici del 1865). Orbene, puo' aversi recesso  quando
lo  scioglimento  del  contratto  trae  origine  unicamente  da   una
determinazione dell'Amministrazione, che con un suo atto di  volonta'
ponga fine allo stesso. 
    L'Amministrazione puo' avvalersi del recesso  dal  contratto  per
qualsiasi  motivo  e  non  e'  tenuta  ne'  a   dichiararlo   ne'   a
giustificarlo.  Del  resto,  nessun  interesse  concreto  puo'  avere
l'appaltatore a dimostrare il motivo concreto che ha  determinato  il
recesso, atteso che da tale dimostrazione non potrebbe trarre nessuna
utile conseguenza in suo  favore,  ne'  la  ragione  potrebbe  essere
oggetto  di  sindacato  o  di   censura   da   parte   dell'autorita'
giudiziaria. 
    Ed invero, il recesso e' esercizio di una  facolta'  contrattuale
ed e' un atto negoziale di diritto privato  e  non  un  provvedimento
autoritativo. Non  deve  essere  accettato  dall'altro  contraente  e
determina lo scioglimento ex nunc del contratto, a  differenza  della
sua  risoluzione.  Peraltro,  a  differenza  della  risoluzione   per
inadempimento, il recesso unilaterale determina lo  scioglimento  del
vincolo contrattuale,  a  prescindere  da  qualsivoglia  indagine  in
ordine al corretto adempimento delle prestazioni da parte  dell'altro
contraente. 
    Il diritto di recesso puo' essere esercitato in  qualunque  tempo
e, cioe', dal momento del perfezionamento del vincolo contrattuale  e
fino all'ultimazione dell'opera. L'art. 134 del  decreto  legislativo
163 del 2006 (e in  precedenza  analogamente  gli  artt.  345  L.gen.
Lavori Pubblici del 1865 e 122, comma 1 del  DPR  n.  554  del  1999)
stabiliscono che l'Amministrazione puo' recedere  dal  contratto  "in
qualunque momento". 
    L'Amministrazione puo'  avvalersi  di  tale  diritto  potestativo
anche quando l'appaltatore abbia acquisito il diritto ad ottenere  la
risoluzione del contratto per  inadempimento  della  stessa  Stazione
appaltante e tale inadempienza abbia fatto valere. In tal caso,  sono
diverse le conseguenze economiche, in quanto  rimarrebbe  integro  il
diritto dell'appaltatore a conseguire il  completo  risarcimento  dei
danni come resterebbe integro il diritto dell'amministrazione  per  i
danni da inadempienze dell'appaltatore anteriormente al recesso. 
    Per contro, in caso di recesso unilaterale della Amministrazione,
l'appaltatore   ha   diritto   ai   rimborsi   ed   alle   indennita'
dettagliatamente previsti dal legislatore.  Queste  conseguenze  sono
precisate nell'art. 134 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (e in
precedenza analogamente gli artt. 345 L.gen. Lavori Pubblici del 1865
e 122, comma 1 del DPR n. 554 del 1999 e, prima ancora, art.  41  del
cap.gen. Min. ll.pp. del 1962). 
    L'Amministrazione deve, in primo luogo,  procedere  al  pagamento
dei  lavori  eseguiti  dall'appaltatore  al  momento  in  cui   viene
comunicato  l'atto  di  recesso.  In  secondo  luogo,   deve   pagare
all'appaltatore "il valore dei materiali utili esistenti in cantiere"
che siano stati gia' accettati dal direttore dei lavori  prima  della
comunicazione dello scioglimento del contratto. Infine, dovra' essere
corrisposta all'appaltatore una somma  pari  al  decimo  dell'importo
delle opere che rimangono ineseguite. Tale  calcolo  dovra',  dunque,
essere effettuato sulla differenza tra l'importo delle opere  oggetto
dell'appalto e  l'ammontare  di  quelle  eseguite  al  momento  della
comunicazione del recesso. 
    Si ritiene che i compensi  previsti  dall'art.  134  del  decreto
legislativo n. 163 del 2006  (ed  in  precedenza  dalle  norme  sopra
riportate)  abbiano  carattere   tassativo,   cio'   escludendo   che
all'appaltatore possano competere ulteriori rimborsi o indennizzi. Ed
invero, quanto alla gerarchia  tra  le  varie  fonti  disciplinatrici
dell'appalto pubblico (e cioe' la prevalenza che ciascuna di esse  ha
nei rapporti con le altre), ha assoluta  preminenza  la  legislazione
speciale, la quale - essendo lex specialis - prevale senz'altro sulle
norme  del  codice  civile,  anche  se  cogenti.  D'altra  parte,  le
disposizioni contenute nella legislazione speciale hanno di  per  se'
natura   cogente,    non    potendo    l'amministrazione    derogarvi
pattiziamente. Cio' consegue alla stessa esigenza che ha  determinato
la loro introduzione, dovendosi ritenere che la  disciplina  in  esse
contenuta sia, in via assoluta, la piu' conforme all'interesse  della
Pubblica amministrazione.  Tale  principio  risulta  affermato  anche
dalla  giurisprudenza  della  Suprema  Corte,  secondo  la  quale  le
disposizioni in materia di appalto di opere  pubbliche  -  in  quanto
rispondenti a finalita' pubblicistiche - sono in linea  di  principio
norme imperative, ai sensi  dell'art.  1418,  comma  1  c.c.,  e  non
possono essere derogate dai contraenti se non nei  casi  e  nei  modi
previsti dalle norme medesime, (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n.  18644
del 12/08/2010, Rv. 614098 - 01, nella  quale  la  S.C.  ha  ritenuto
corretta la sentenza di merito che aveva ritenuto di poter sostituire
automaticamente, ai sensi dell'art. 1339 cod. civ., la norma di legge
inderogabile alla contraria regola pattizia dichiarata nulla). 
    Cio' posto, molto dibattuta e' la questione  relativa  ai  rimedi
che l'ordinamento riconosce all'appaltatore nel caso  di  illegittimo
recesso dal contratto da parte del committente.  In  particolare,  si
discute - anche nell'ambito del contratto di appalto tra privati - se
all'appaltatore   sia   riconosciuto   esclusivamente   il    rimedio
risarcitorio, ovvero se lo stesso abbia anche  strumenti  reali,  per
ripristinare e riattivare il  rapporto  contrattuale  unilateralmente
interrotto. 
    Orbene,  al  riguardo  devesi   ritenere   che   ogni   eventuale
controversia in tal caso non possa che concernere  la  determinazione
delle conseguenze economiche derivanti dallo scioglimento del vincolo
contrattuale. Ed infatti, quand'anche il giudice dovesse accertare la
illegittimita' del recesso, cio' non determinerebbe mai il ripristino
del  contratto.  Cio'  si   spiega   in   relazione   alla   funzione
dell'appalto, mediante il quale si tende alla produzione di  un  bene
che deve soddisfare  a  particolari  esigenze  del  committente.  Del
resto, sarebbe  antieconomico  vincolare  quest'ultimo  al  contratto
anche quando la cosa da produrre o gia' in corso  di  produzione  non
risponda piu' a  motivi  di  sua  convenienza.  Analogamente,  e'  in
ragione  della  sopra  ricordata   funzione   dell'appalto   che   il
committente  pubblico,  come  quello  privato,  e'   autorizzato   ad
introdurre unilateralmente modifiche nel corso del rapporto. 
    Tale conclusione, piu' volte affermata dalla giurisprudenza della
Suprema Corte in materia  di  appalto,  trova  giustificazione  nella
particolare incidenza dell'intuitu personae sulla configurazione  del
sinallagma negoziale di tale tipologia di  contratto.  Con  indirizzo
ampiamente consolidato, la Corte di Cassazione ha affermato che  "nel
caso di recesso del committente - sia per l'ipotesi di recesso legale
di cui all'art. 1671 c.c., esercitabile in qualunque momento dopo  la
conclusione del contratto e che puo' essere giustificato anche  dalla
sfiducia verso  l'appaltatore  per  fatti  d'inadempimento,  sia  per
l'ipotesi di recesso convenzionale - ex art. 1373 c.c. - il contratto
si scioglie senza necessita' di indagini sull'importanza  e  gravita'
dell'inadempimento,  le  quali  sono  rilevanti  soltanto  quando  il
committente  abbia  preteso   anche   il   risarcimento   del   danno
dall'appaltatore per l'inadempimento in cui questi fosse gia' incorso
al  momento  del  recesso  ovvero   abbia   contestato   la   pretesa
risarcitoria formulata dall' appaltatore  (cfr.,  Cassazione  civile,
sez. II, 22/04/2008, n. 10400; Cass. 30 marzo 1985 n. 2236; Cass.  29
luglio 1983 n. 5237)". 
    Peraltro, e' stato anche chiarito che il recesso esercitabile dal
committente non presuppone  necessariamente  uno  stato  di  regolare
svolgimento del rapporto, ma, al contrario, stante  l'ampiezza  della
formulazione contenuta nell'art. 1671 c.c.,  puo'  essere  esercitato
per qualsiasi ragione che induca il committente medesimo a porre fine
al rapporto. In particolare, la Suprema Corte  -  nella  sentenza  n.
11642 del 29 luglio 2003 - ha precisato che non e' configurabile  "un
diritto  dell'appaltatore  a  proseguire  nell'esecuzione  dell'opera
(avendo egli diritto solo all'indennizzo previsto da detta norma)  e,
da altro canto, rispondendo il compimento  dell'opera  esclusivamente
all'interesse del committente. Ne consegue che il recesso puo' essere
giustificato anche  dalla  sfiducia  verso  l'appaltatore  per  fatti
d'inadempimento, e, poiche' il contratto si  scioglie  esclusivamente
per effetto dell'unilaterale iniziativa del recedente, non e' in  tal
caso necessaria alcuna indagine  sull'importanza  dell'inadempimento,
viceversa dovuta quanto il committente richiede anche il risarcimento
del danno  per  l'inadempimento  gia'  verificatosi  al  momento  del
recesso". Analogo principio risulta espresso nella sentenza  n.  4987
del 24.8.1981, secondo cui "Il committente ha il diritto di  recedere
dal contratto d'appalto in ogni momento, anche se e'  inadempiente  e
senza necessita' di fornire giustificazioni, in quanto le conseguenze
indennitarie poste  a  suo  carico  dall'art.  1671  cod.  civ.  sono
riconducibili, quanto ad estensione, a quelle risarcitorie  derivanti
dall'inadempimento del committente medesimo, ed  atteso  che  non  e'
configurabile un diritto dell'appaltatore a  continuare  l'esecuzione
dell'opera,   essendo   questa    coordinata    al    soddisfacimento
dell'esclusivo interesse del committente e non  dell'appaltatore,  il
cui interesse  giuridico  e'  invece  rivolto  al  conseguimento  del
corrispettivo". 
    Del resto, la ratio giustificatrice  dell'istituto  in  esame  e'
quella di tutelare l'interesse  del  committente,  permettendogli  di
evitare la prosecuzione per il futuro  dell'esecuzione  dell'opera  o
della  prestazione  del  servizio,  mediante  il   meccanismo   della
corresponsione dell'indennita' all'appaltatore. Si tratta, quindi, di
una ipotesi di responsabilita' contrattuale da  atto  lecito,  atteso
che  il  committente,  pur  esercitando  un   diritto   espressamente
riconosciutogli   dalla   legge,   e'   obbligato   a   corrispondere
all'appaltatore un'indennita' che,  nel  ricomprendere  gli  elementi
integrativi del risarcimento del danno ex art.1223 c.c.,  si  traduce
tanto nel danno emergente (pagamento dei lavori eseguiti), quanto nel
lucro cessante (mancato  guadagno).  Lo  scopo  della  previsione  di
un'indennita' e', all'evidenza, quello di riequilibrare la situazione
contrattuale  dell'appaltatore  che  "subisce"   la   decisione   del
committente di non realizzare piu' l'opera appaltata. 
    Tuttavia, pur potendosi ravvisare una qualche  somiglianza  sotto
il  profilo  dei  criteri  di  liquidazione  delle  somme   spettanti
all'appaltatore, non vi  e'  alcuna  coincidenza  tra  l'obbligazione
indennitaria e quella risarcitoria, conseguendo la prima ad  un  atto
lecito, mentre la seconda ad una attivita' antigiuridica. Peraltro, a
differenza del risarcimento (che consiste nella integrale riparazione
della lesione subita), l'indennizzo e' la somma di  denaro  dovuta  a
titolo di ristoro patrimoniale per riparare (almeno parzialmente)  la
diminuzione economica subita da un soggetto in conseguenza di un atto
'lecito'. 
    In conclusione, devesi ritenere che  non  possa  configurarsi  un
diritto  dell'appaltatore  alla  realizzazione  dell'opera  ed   alla
continuazione del contratto, con la conseguenza che  non  potra'  mai
ordinarsi  alla  Stazione  appaltante  receduta  di   riattivare   il
sinallagma  contrattuale   e   di   consentire   all'appaltatore   il
completamento dell'opera. 
    6 - La caducazione  ex  lege  del  vincolo  contrattuale  tra  la
Stretto di Messina spa. e la Parsons Transportation Group Inc. 
    Il DL. n. 187 del 2012 (poi trasfuso  nell'art.  34-decies  Legge
221/2012) ha stabilito che - in caso di mancata stipulazione  tra  le
parti di un atto aggiuntivo entro il  termine  dell'1  marzo  2013  -
dovevano ritenersi caducati, con effetto dalla  data  di  entrata  in
vigore del decreto (2 novembre 2012),  tutti  gli  atti  relativi  ai
rapporti  di  concessione,  nonche'  le  convenzioni  ed  ogni  altro
rapporto contrattuale stipulato dalla societa' concessionaria. 
    Di conseguenza, non essendo stato stipulato alcun atto aggiuntivo
nel termine previsto  dal  citato  decreto  legge,  il  Contratto  di
Project Management Consulting stipulato tra  la  Stretto  di  Messina
spa. e la  Parsons  deve  ritenersi  caducato,  e  cioe'  il  vincolo
contrattuale deve ritenersi sciolto a seguito del recesso unilaterale
della parte committente.  Del  resto,  la  stessa  parte  committente
Stretto di Messina s.p.a. - in data 2 marzo 2013 - ha comunicato alla
Parsons essere intervenuta, con  effetto  dal  2  novembre  2012,  la
caducazione del Contratto di affidamento  a  Contraente  generale  in
ragione  delle  previsioni  del  decreto  legge  medesimo,  con  cio'
manifestando la volonta' unilaterale  di  non  voler  proseguire  nel
rapporto contrattuale e di non aver piu' interesse alla realizzazione
dell'Opera. 
    Orbene, come ritenuto nella sentenza non definitiva, gli  effetti
prodotti dal Decreto Legge in questione sono riconducibili  a  quelli
del recesso  unilaterale  della  parte  committente.  Ed  invero,  il
predetto atto normativo ha disposto la caducazione del  contratto,  e
quindi   ha   sciolto   unilateralmente   il   vincolo   contrattuale
prescindendo totalmente dal  comportamento  della  controparte  e  da
eventuali inadempimenti ad essa riconducibili, ma facendo riferimento
esclusivamente a circostanze estrinseche al contratto stesso,  (quali
"l'attuale stato di tensione nei mercati  finanziari  internazionali,
la verifica, a tutela della finanza  pubblica,  della  sostenibilita'
del piano economico finanziario del  collegamento  stabile  viario  e
ferroviario tra Sicilia e Continente"). 
    Alla riconducibilita' della caducazione  ex  lege  del  contratto
alla fattispecie del recesso unilaterale  del  committente,  inoltre,
non osta la circostanza che lo stesso sia stato adottato dal  Governo
(e quindi formalmente da soggetto diverso  dalla  parte  contraente),
attesa la natura di societa' in house della Stretto di Messina  spa.,
la quale - come si e' detto sopra - non puo'  essere  considerata  un
soggetto diverso dagli enti pubblici che ne rappresentano i soci  ed,
in  generale,  dall'Amministrazione  concedente  (originariamente  il
Ministero per i lavori pubblici  e  per  i  trasporti  e  l'aviazione
civile e, successivamente,  a  seguito  dell'entrata  in  vigore  del
decreto  legislativo  n.   114   del   2003,   il   Ministero   delle
Infrastrutture e dei Trasporti). 
    Tuttavia, al fine decidere sulle domande con cui  la  Parsons  ha
chiesto dichiararsi la intervenuta  risoluzione  del  Contratto,  per
inadempimento  della  parte  committente,  nonche'   accertarsi,   in
subordine, l'intervenuto recesso unilaterale della  parte  contraente
predetta, si e' reso necessario gia' nella  sentenza  non  definitiva
esaminare le questioni di legittimita' delle  disposizioni  contenute
nel DL 187/2012. Avendo, infatti il  predetto  decreto  legge  inciso
sulla sorte del rapporto contrattuale tra la Stretto di Messina  spa.
e la Parsons, risulta indispensabile verificare se  lo  stesso  possa
trovare applicazione nella presente controversia. 
    7 - Sull'asserito contrasto del Decreto Legge n. 187 del  2012  e
dell'art. 34-decies della Legge 221  del  2012  rispetto  al  diritto
europeo. 
    Secondo la Parsons, le disposizioni  contenute  nel  DL  187/2012
(poi  trasfuse  nell'art.  34-decies  della   Legge   221/2012)   non
potrebbero trovare applicazione nell'ambito del presente giudizio, in
quanto contrastanti al  tempo  stesso  con  i  principi  del  diritto
dell'Unione europea e con norme della Costituzione. 
    In particolare, l'art. 1 del DL 187/2012 (poi trasfuso  nell'art.
34-decies della Legge 221/2012) sarebbe  illegittimo  nelle  seguenti
parti: 
        1) nella parte in cui, al comma 4, stabilisce che "Dalla data
di entrata in vigore del presente decreto fino  all'approvazione  del
progetto definitivo da parte del CIPE delle  opere  come  individuate
dal  comma  2,  entro  e  non  oltre  i  540  giorni  successivi   al
completamento dell'esame del progetto in  linea  tecnica,  tutti  gli
effetti dei contratti stipulati dalla  Societa'  Stretto  di  Messina
S.p.A. con il Contraente generale e gli altri soggetti affidatari dei
servizi connessi alla realizzazione dell'opera sono sospesi e per  il
periodo di sospensione non potranno essere  avanzate  dai  contraenti
pretese risarcitorie o di altra natura a nessun titolo. Sono altresi'
sospesi gli adeguamenti economici a qualsiasi titolo previsti"; 
        2) nella parte in cui, al comma 8, stabilisce che  "Nel  caso
in cui l'atto aggiuntivo di cui al comma 1 non venga stipulato  entro
il termine perentorio del 1° marzo 2013 sono  caducati,  con  effetto
dalla data di entrata in vigore del presente decreto, tutti gli  atti
che regolano i rapporti di concessione,  nonche'  le  convenzioni  ed
ogni   altro   rapporto   contrattuale   stipulato   dalla   societa'
concessionaria secondo le modalita' e per gli effetti di cui al comma
3"; 
        3) nella  parte  in  cui,  nell'ipotesi  di  caducazione  dei
contratti, il comma 8 richiama gli effetti di cui al comma 3, in base
al quale "a definitiva e  completa  tacitazione  di  ogni  diritto  e
pretesa, gli  effetti  della  caducazione  dei  vincoli  contrattuali
comportano  esclusivamente  il  riconoscimento   di   un   indennizzo
costituito    dal    pagamento    delle    prestazioni    progettuali
contrattualmente previste e direttamente eseguite e dal pagamento  di
una ulteriore somma pari al 10 per cento dell'importo predetto". 
    Ad avviso della parte attrice, quindi, risulterebbero violati gli
artt. 49, 56 e 63 del  TFUE;  il  principio  generale  del  legittimo
affidamento e della certezza del diritto; i principi  in  materia  di
aggiudicazione  degli  appalti  pubblici;  il  principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 4, par.  3  del  TUE;  il  diritto  di
proprieta' ed il diritto ad un ricorso effettivo di cui agli artt. 17
e 47  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  Europea,
nonche' il Trattato di amicizia tra l'Italia e  gli  Stati  Uniti  di
America e la  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, negli articoli in cui tutelano il  diritto  di
proprieta' ed il diritto di accesso alla giustizia. 
    Al tempo stesso, sarebbero violati gli artt. 3, 24, 41,  42,  43,
97, 113 e 117 della Costituzione italiana. 
    L'eccezione in esame rende necessario un cenno al problema  della
cd. doppia pregiudizialita', che si verifica quando - con riferimento
ad una norma interna - si  ponga  contestualmente  una  questione  di
legittimita'  costituzionale  ed  una  questione  di   compatibilita'
comunitaria. 
    Orbene, giova premettere che  l'adesione  dell'Italia  all'Unione
Europea ha comportato notevoli conseguenze dal punto di  vista  delle
fonti del  diritto,  in  quanto  al  sistema  tradizionale  di  fonti
nazionali si e' affiancato quello delle fonti di diritto europeo.  Si
e' posto, quindi, il problema di  risolvere  eventuali  conflitti  ed
antinomie non solo tra le fonti nazionali,  ma  anche  tra  queste  e
quelle sovranazionali. 
    Un punto di svolta  nella  soluzione  del  suddetto  problema  e'
indubbiamente rappresentato dalla Sentenza Simmenthal del  1978,  con
la quale la Corte di  Giustizia  ha  affermato  che:  "in  forza  del
principio della preminenza del diritto comunitario [...]  il  giudice
nazionale, incaricato di applicare [...] le disposizioni del  diritto
comunitario ha l'obbligo di garantire  la  piena  efficacia  di  tali
norme,  disapplicando,   all'occorrenza,   di   propria   iniziativa,
qualsiasi disposizione  contrastante  della  legislazione  nazionale,
senza doverne  chiedere  o  attendere  la  previa  rimozione  in  via
legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale". 
    Successivamente a tale pronuncia, la Corte costituzionale (con la
sent. n. 170/1984, Granital  o  La  Pergola),  ha  affermato  che  il
contrasto tra diritto europeo e diritto  interno  non  da'  luogo  ad
illegittimita' costituzionale della norma interna  laddove  la  norma
europea sia direttamente applicabile, ma piuttosto avra' l'effetto di
impedire che tale norma venga in rilievo  per  la  definizione  della
controversia dinanzi al  giudice  nazionale.  Si  affermo'  cosi'  la
teoria della disapplicazione o meglio della "non applicazione"  delle
norme interne in contrasto con norme comunitarie  che  hanno  effetto
diretto. 
    Si riteneva, dunque, che qualora un giudice avesse sollevato  una
questione di legittimita' costituzionale in  caso  di  contrasto  tra
norma interna e norma  comunitaria  con  effetto  diretto,  la  Corte
costituzionale non sarebbe potuta  entrare  nel  merito,  ma  avrebbe
dovuto  dichiarare  la  questione  inammissibile   per   difetto   di
rilevanza. Per contro, in caso di  contrasto  di  norme  interne  con
norme comunitarie prive di effetto diretto, la Corte riteneva che  il
giudice,  previo  eventuale  rinvio  pregiudiziale  alla   Corte   di
Giustizia,   dovesse   sollevare   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della norma interna per  violazione  del  diritto  UE,
rilevante nel giudizio di costituzionalita' come parametro interposto
attraverso l'art. 11 della Costituzione. 
    All'inizio,   l'area   del   diritto   comunitario   direttamente
applicabile era limitata ai trattati istitutivi ed ai regolamenti, ma
con il passare del tempo si e' andata  via  via  estendendo,  sino  a
ricomprendere anche le  sentenze  interpretative  e  le  sentenze  di
condanna  della  Corte  di  Giustizia,  nonche'  le   cd.   direttive
dettagliate o self executing. 
    Sulla  base  dei  medesimi  principi,  veniva  risolto  anche  il
problema   della   doppia   pregiudizialita'.    La    giurisprudenza
costituzionale  era  costante  nel  ritenere  che  la  questione   di
compatibilita' comunitaria avesse la precedenza  logica  e  giuridica
rispetto alla questione di costituzionalita', in quanto investiva  la
stessa applicabilita' della norma e,  di  conseguenza,  la  rilevanza
della questione di costituzionalita' al fine della decisione del caso
concreto. 
    Quindi,  in  presenza  di  una   norma   europea   immediatamente
attributiva di un diritto e,  quindi,  suscettibile  di  applicazione
diretta, la doppia pregiudizialita' doveva essere risolta verificando
la compatibilita' della norma interna con quella  europea  -  se  del
caso dopo aver sollecitato l'esatta interpretazione  di  quest'ultima
con lo strumento del rinvio  pregiudiziale  ex  art.  267  TFUE  -  e
procedendo, in caso di verifica negativa, alla non applicazione della
norma interna, oppure,  solo  in  caso  di  verifica  positiva,  alla
instaurazione di un giudizio incidentale di costituzionalita'. 
    Tale modus procedendi va, tuttavia, rimeditato, alla  luce  della
precisazione offerta dalla Corte costituzionale con  la  sentenza  14
dicembre 2017 n. 269 in relazione all'ipotesi  di  contrasto  tra  la
norma interna e quelle disposizioni del diritto dell'Unione  europea,
suscettibili di  applicazione  diretta,  che  siano  contenute  nella
CDFUE. In  tale  sentenza,  premesso  che  detta  Carta  dei  diritti
"costituisce  parte  del  diritto  dell'Unione  dotata  di  caratteri
peculiari in  ragione  del  suo  contenuto  di  impronta  tipicamente
costituzionale ... sicche' puo' darsi il caso che la violazione di un
diritto  della  persona  infranga,  ad  un  tempo,  sia  le  garanzie
presidiate dalla Costituzione italiana, sia quelle  codificate  dalla
Carta dei diritti dell'Unione" si  afferma  che  "le  violazioni  dei
diritti della persona postulano la necessita' di un  intervento  erga
omnes di questa Corte, anche in virtu' del  principio  che  situa  il
sindacato accentrato di costituzionalita' delle  leggi  a  fondamento
dell'architettura    costituzionale    (art.    134    Cost.)"     e,
conseguentemente, si conclude che "laddove una legge sia  oggetto  di
dubbi di illegittimita' tanto  in  riferimento  ai  diritti  protetti
dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a  quelli  garantiti
dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in ambito di
rilevanza  comunitaria,  debba  essere  sollevata  la  questione   di
legittimita'  costituzionale,  fatto  salvo  il  ricorso  al   rinvio
pregiudiziale per le questioni di interpretazione  o  di  invalidita'
del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art. 267 del TFUE". 
    Nella citata pronuncia, la Corte Costituzionale precisa che  tale
orientamento e' conseguente alle trasformazioni che hanno  riguardato
il diritto dell'Unione europea e il  sistema  dei  rapporti  con  gli
ordinamenti nazionali  dopo  l'entrata  in  vigore  del  Trattato  di
Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea  e  il  Trattato
che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi,  fatto  a
Lisbona il 13 dicembre 2007, ratificato ed  eseguito  dalla  legge  2
agosto 2008, n. 130.  In  particolare,  il  Trattato  di  Lisbona  ha
attribuito  effetti  giuridici  vincolanti  alla  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza  il  7  dicembre
2000  e  adattata  a  Strasburgo  il  12   dicembre   2007   (CDFUE),
equiparandola  ai  Trattati  (art.  6,  paragrafo  1,  del   Trattato
sull'Unione europea). 
    Sicche', qualora il diritto interno interferisca con  il  diritto
dell'Unione Europea, in via preliminare il giudice a quo, che intenda
sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale  della   norma
interna, deve delibare circa il contrasto tra la norma censurata e il
diritto  dell'Unione  Europea:  ove  questo  vaglio  sia  omesso,  la
questione e' inammissibile. Nell'ipotesi  in  cui  tale  comparazione
avvenga, occorre distinguere tra  norme  europee  dotate  di  effetto
diretto e norme comunitarie prive di tale efficacia. Nel primo  caso,
qualora emerga un contrasto, non e' consentito sollevare la questione
di legittimita' costituzionale,  dovendo  lo  stesso  giudice  comune
provvedere alla pronta applicazione delle norme comunitarie in  luogo
della norma nazionale difforme, che sara' pertanto disapplicata.  Nel
secondo caso, invece, il giudice comune dovra' sollevare la questione
di legittimita' costituzionale, evocando il parametro dell'art.  117,
comma 1 Cost. rispetto alla norma  comunitaria  interposta  priva  di
efficacia diretta, spettando alla Consulta valutare la ricorrenza  di
un contrasto insanabile ed eventualmente annullare la  legge  interna
incompatibile con il diritto dell'UE non direttamente applicabile. 
    A questa regola fa eccezione l'ipotesi in cui ad  essere  evocato
come parametro interposto sia  un  diritto  di  cui  alla  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione Europea,  atteso  il  suo  peculiare
carattere di impronta tipicamente costituzionale.  Tanto  postula  la
necessita'  di  un  intervento  della   Corte   costituzionale,   che
giudichera' alla luce  dei  parametri  interni  ed  eventualmente  di
quelli europei (artt. 11 e 117 Cost.), ai fini di una interpretazione
dei  diritto  garantiti  dalla  Carta  che  sia  in  armonia  con  le
tradizioni costituzionali ex artt. 6 del Trattato UE e  52,  comma  4
della Carta dei diritti fondamentali.  In  questo  caso,  quindi,  vi
sara' la possibilita'  di  un  concorso  dei  rimedi  giurisdizionali
esperibili,  in  cui  ha  carattere  prioritario   il   giudizio   di
costituzionalita'   e   non   puo'   procedersi   direttamente   alla
disapplicazione della norma interna eventualmente in contrasto. 
    Cio' premesso, le disposizioni  del  Trattato  sul  Funzionamento
dell'Unione Europea - che si assumono violate nella presente  sede  -
sono finalizzate a garantire il principio  della  libera  concorrenza
tra gli operatori economici e  del  libero  accesso  al  mercato,  in
condizioni di parita' di trattamento e di non discriminazione. 
    In particolare, l'art. 49 del TFUE (ex 43 del TCE) stabilisce che
le restrizioni alla liberta' di stabilimento  dei  cittadini  di  uno
Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate.
Tale  divieto  si  estende   altresi'   alle   restrizioni   relative
all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini
di uno Stato membro  stabiliti  sul  territorio  di  un  altro  Stato
membro. 
    L'art. 56 (ex art. 49 TCE), poi, stabilisce  che  le  restrizioni
alla libera prestazione  dei  servizi  all'interno  dell'Unione  sono
vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri  stabiliti  in
uno  Stato  membro  che  non  sia  quello  del   destinatario   della
prestazione.  Il  Parlamento  europeo  e  il  Consiglio,  deliberando
secondo la procedura  legislativa  ordinaria,  possono  estendere  il
beneficio delle disposizioni  del  presente  capo  ai  prestatori  di
servizi,  cittadini  di  un  paese  terzo  e  stabiliti   all'interno
dell'Unione. 
    L'art. 63 vieta tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra
Stati membri, nonche' tra Stati membri e paesi terzi. 
    Poi, l'art. 4, par. 3 del  TUE  stabilisce  che,  in  virtu'  del
principio di leale cooperazione, l'Unione europea e gli Stati  membri
si  rispettano  e  si  assistono  reciprocamente  nell'andamento  dei
compiti derivanti dai trattati. 
    L'art.  17  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea disciplina il diritto  di  proprieta',  stabilendo  che  ogni
persona ha il diritto di godere della  proprieta'  dei  beni  che  ha
acquisito legalmente, di  usarli,  di  disporne  e  di  lasciarli  in
eredita'. Nessuna persona puo' essere privata della proprieta' se non
per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi  previsti  dalla
legge e contro il pagamento in tempo utile di una  giusta  indennita'
per la perdita della stessa. L'uso  dei  beni  puo'  essere  regolato
dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale. 
    L'art.  47  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea disciplina il diritto ad un ricorso effettivo e a un  giudice
imparziale, stabilendo che ogni  persona  i  cui  diritti  e  le  cui
liberta' garantiti dal diritto dell'Unione  siano  stati  violati  ha
diritto a un ricorso effettivo dinanzi a  un  giudice,  nel  rispetto
delle condizioni previste nel  presente  articolo.  Ogni  persona  ha
diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente  ed
entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale,
precostituito per  legge.  Ogni  persona  ha  la  facolta'  di  farsi
consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che  non  dispongono
di mezzi sufficienti e' concesso il patrocinio a spese  dello  Stato,
qualora cio' sia necessario per assicurare un accesso effettivo  alla
giustizia. 
    Quanto, infine, al principio del  legittimo  affidamento,  questo
non e' esplicitato in  una  norma  specifica,  ma  -  come  affermato
costantemente dalla giurisprudenza dell'Unione Europea -  costituisce
un corollario del piu' ampio principio della  certezza  del  diritto.
Quest'ultimo, ritenuto un cardine per ogni moderno Stato (e che nella
Costituzione italiana e' riconducibile ai principi sanciti  dall'art.
3), si compone di tre sottoprincipi:  l'irretroattivita'  degli  atti
normativi, la tutela del legittimo affidamento e  la  protezione  dei
diritti quesiti. In altre parole, il  principio  della  certezza  del
diritto, dal punto di vista oggettivo, mira  a  garantire  l'esigenza
che le norme siano chiare, certe e prevedibili, in modo da consentire
ai singoli di orientare la propria condotta con piena  cognizione  di
causa; dal punto di vista soggettivo, invece, mira ad  assicurare  la
tutela delle singole posizioni giuridiche. 
    Orbene, nel caso in esame, le disposizioni del DL 187/2012 (nella
parte in cui dispongono la caducazione di tutti i contratti stipulati
dalla Stretto di Messina spa.) non appaiono in contrasto con le norme
suindicate. 
    A tal fine, e' sufficiente richiamare i  principi  gia'  espressi
con riferimento allo scioglimento del contratto di appalto a  seguito
del recesso unilaterale del committente, che  e'  espressione  di  un
diritto  potestativo  riconosciuto  al  committente  sia  dal  codice
civile, sia dalla speciale disciplina in materia di appalti  pubblici
e prescinde da eventuali inadempimenti delle parti. 
    Non  si  vede,  pertanto,  come  l'esercizio  di   tale   diritto
potestativo relativo ad una singola  fattispecie  contrattuale  possa
limitare la liberta' di stabilimento, la liberta' di prestazione  dei
servizi e la liberta' di circolazione  dei  capitali  della  Parsons,
tenuto peraltro conto che - come sopra evidenziato -  l'interesse  al
completamento dell'appalto ed alla realizzazione dell'opera  fa  capo
al solo  committente,  risultando  giuridicamente  tutelato  il  solo
interesse dell'appaltatore al  pagamento  dei  corrispettivi,  ovvero
degli indennizzi o risarcimenti normativamente previsti. Peraltro, le
richiamate disposizioni del Trattato  mirano  a  tutelare  la  libera
concorrenza tra gli operatori economici e la parita'  di  trattamento
con riferimento alla fase di aggiudicazione degli appalti, mentre  la
presente controversia attiene alla fase di  esecuzione.  Infatti,  la
liberta' di stabilimento e' comunemente intesa  come  il  diritto  di
trasferirsi in uno Stato membro diverso da quello di origine, al fine
di esercitarvi una qualsiasi forma di attivita' economica, di  natura
non subordinata, alle stesse condizioni normative stabilite dal Paese
di destinazione per i propri cittadini. 
    Parimenti, nessuna violazione appare ravvisabile in relazione  al
principio di leale cooperazione, essendo questo riferito al  rapporto
tra gli Stati membri. Analoghe considerazioni possono  essere  svolte
con riferimento alle lamentate violazioni del  Trattato  di  amicizia
tra l'Italia e gli Stati Uniti di America. 
    Infine, la espressa previsione contrattuale di una  facolta'  del
committente  di  recedere  unilateralmente  dal   contratto   a   suo
insindacabile giudizio ed in qualunque tempo e qualunque sia lo stato
di esecuzione delle prestazioni  impedisce  di  poter  ravvisare  una
violazione del principio  dell'affidamento  nella  decisione  di  non
realizzare piu' l'Opera. 
    Quanto, poi, all'asserito contrasto con gli artt. 17 e  47  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, contrariamente  a
quanto richiesto dalla parte  attrice,  un  eventuale  contrasto  non
potrebbe comunque condurre ad una diretta disapplicazione della norma
interna, alla luce della recente sentenza n. 269 del 2017 della Corte
Costituzionale  sopra  richiamata.  Di  conseguenza,  coincidendo  le
suddette  disposizioni   della   Carta   fondamentale   dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea con i principi sanciti agli artt. 42
e 24 della Costituzione, la delibazione  di  un  eventuale  contrasto
verra' trattata nel prosieguo, in sede di verifica della  sussistenza
dei  presupposti  per  sollevare   la   questione   di   legittimita'
costituzionale. 
    Nel caso in esame, deve  altresi'  escludersi  che  sussistano  i
presupposti per il  richiesto  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di
Giustizia Europea. 
    Ed infatti, la Suprema Corte ha costantemente affermato che:  "Il
rinvio pregiudiziale di una causa alla Corte di Giustizia Europea, ex
art. 234 Trattato CE, puo' essere disposto soltanto  ove  al  giudice
nazionale  si  ponga  un  dubbio  relativo  alla  interpretazione   e
all'applicazione  delle  norme  comunitarie,  e  che   la   questione
interpretativa controversa abbia rilevanza  in  relazione  al  "thema
decidendum" sottoposto al giudice nazionale ed alle norme interne che
lo disciplinano, ma non nel caso in cui a questi si  ponga  l'opposto
problema di interpretare la norma interna (nel  caso  di  specie,  il
D.M. n. 452 del 1989) al fine di verificarne la compatibilita' con la
normativa comunitaria e  deciderne  l'eventuale  disapplicazione,  in
quanto  la  Corte  di  Giustizia  Europea  non   e'   competente   ad
interpretare il diritto nazionale dei singoli  Stati  membri,  ne'  a
statuire sulla  compatibilita'  di  un  provvedimento  nazionale  con
l'art. 92, oggi 87, del Trattato  (  in  questo  senso  v.  Corte  di
Giustizia della Comunita' Europea 17 giugno 1999  in  causa  295/97).
(Sez. 1, Sentenza n. 20708 del 22/09/2006, Rv. 592957 - 01)". 
    Nella presente sede,  tuttavia,  non  risultano  neanche  dedotti
dubbi interpretativi afferenti le norme di diritto europeo, mentre  a
nulla rilevano eventuali dubbi interpretativi della norma interna. 
    Ed infatti, e' interessante  rilevare  che  la  sezione  pugliese
della Corte dei Conti, con ordinanza del 29 Aprile 2014,  n.  35,  ha
interpellato la Corte di Giustizia sul significato e  la  portata  da
attribuire al principio  di  tutela  del  legittimo  affidamento.  In
particolare la Corte dei Conti ha posto alla Corte di Lussemburgo  un
quesito pregiudiziale sulla compatibilita' del detto principio con le
c.d.   leggi   di   interpretazione    autentica    che    modificano
retroattivamente  in  senso  sfavorevole  per  gli   interessati   le
disposizioni attributive di diritti, anche  quando  manchino  ragioni
imperative di interesse generale, o se possa il motivo  di  interesse
generale identificarsi nel  solo  motivo  finanziario.  Tuttavia,  la
Corte di Giustizia (con sentenza del 15 Ottobre 2014,  C-246/14),  si
e' dichiarata manifestamente incompetente a rispondere alle questioni
sottoposte, in quanto riguardanti esclusivamente il diritto interno e
l'interpretazione dello stesso. 
    8 - Sulla legittimita' costituzionale del Decreto  Legge  n.  187
del 2012 e dell'art. 34-decies della Legge n. 221 del 2012. 
    La parte attrice ha eccepito altresi' la incostituzionalita'  del
Decreto Legge in questione, sotto vari profili. 
    Orbene, giova innanzitutto ricordare che - ai sensi dell'art.  23
della Legge n. 87 del 1953 - l'autorita' giurisdizionale, qualora  il
giudizio  non   possa   essere   definito   indipendentemente   dalla
risoluzione della questione  di  legittimita'  costituzionale  o  non
ritenga che la  questione  sollevata  sia  manifestamente  infondata,
emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i  motivi  della
istanza con  cui  fu  sollevata  la  questione,  dispone  l'immediata
trasmissione degli atti  alla  Corte  costituzionale  e  sospende  il
giudizio in corso. 
    Sicche', la questione di  legittimita'  costituzionale  deve,  al
tempo stesso, essere non manifestamente infondata e rilevante,  cioe'
tale che la causa non possa essere definita  indipendentemente  dalla
risoluzione della questione. 
    In particolare, la rilevanza costituisce presupposto della natura
incidentale del controllo di legittimita' costituzionale,  poiche'  -
per essere  validamente  rimessa  alla  Corte  -  la  questione  deve
riguardare una  norma  (sostanziale  o  processuale)  applicabile  in
concreto - e non in via meramente eventuale - nel giudizio a  quo  ed
influente per la sua definizione. Peraltro, per  superare  il  vaglio
della rilevanza della questione, e' necessario che il giudice  a  quo
effettui   il   tentativo   di   interpretazione   costituzionalmente
orientata,  tenendo  conto  della  lettera  e  della   natura   della
disposizione   denunciata.   Secondo   l'orientamento   dei   giudici
costituzionali, l'effettivo esperimento di tale tentativo consente di
superare il vaglio  di  ammissibilita'  della  questione  incidentale
conseguentemente  sollevata,  mentre  la  correttezza  o  meno  della
esegesi, non secundum  constitutionem,  presupposta  dal  rimettente,
attiene, invece, al merito e,  cioe',  alla  successiva  verifica  di
fondatezza o infondatezza della questione stessa, (Corte cost.  sent.
n. 255 del 2017). 
    La non manifesta infondatezza costituisce il secondo  presupposto
e  va  posto  in  dinamico  collegamento  con  l'individuazione   dei
parametri costituzionali in tesi violati dalla  norma  censurata.  Al
riguardo, l'art. 23, comma 1 della legge n. 87  del  1953  stabilisce
che l'istanza con la quale le parti del giudizio pendente chiedono al
giudice che sia sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale
deve indicare non solo  le  disposizioni  viziate  da  illegittimita'
costituzionale, ma anche le disposizioni della Costituzione  o  delle
leggi costituzionali che si intendono violate. Il successivo  secondo
comma del medesimo  articolo,  poi,  stabilisce  che  l'ordinanza  di
rimessione emessa  dall'autorita'  giurisdizionale  deve  riferire  i
termini ed i motivi della istanza  con  cui  e'  stata  sollevata  la
questione. Analoghi requisiti devono ricorrere qualora  la  questione
di legittimita' costituzionale venga sollevata d'ufficio. 
    Cio' posto, solo una delle  questioni  sollevate  nella  presente
sede dalla parte attrice risulta possedere sia l'uno che l'altro  dei
requisiti suindicati. 
    8.1     -     Sulla     legittimita'     costituzionale     delle
leggi-provvedimento. 
    Ed invero, devesi innanzitutto evidenziare che il  Decreto  Legge
in questione non puo' ritenersi illegittimo per il solo fatto di  non
dettare una disciplina generale ed astratta,  ma  essendo  rivolto  a
disciplinare esclusivamente un unico rapporto concreto  (e  cioe'  il
rapporto  contrattuale  tra  la  Stretto  di  Messina   spa.   e   le
controparti, tra cui Parsons). 
    Ed infatti,  la  Corte  Costituzionale,  con  orientamento  ormai
consolidato,  ha  piu'  volte  affermato   che   non   esiste   nella
Costituzione una riserva agli  organi  amministrativi  degli  atti  a
contenuto particolare  e  concreto.  Quindi  e'  ammissibile  la  cd.
legge-provvedimento anche se va fatto  uno  scrutinio  in  ordine  ad
eventuali disparita' di  trattamento  ed  alla  ragionevolezza  della
norma. Non arbitrarieta' e  ragionevolezza  sono  i  due  profili  di
controllo della legittimita' della norma. 
    I suddetti principi risultano affermati in molte  pronunce  della
Corte Costituzionale, come ad  esempio  la  sentenza  n.  289  dell'8
ottobre 2010, nella quale la Corte  costituzionale  ha  ritenuto  non
fondata, in riferimento agli art. 24 e 113  cost.,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, l. reg.  Abruzzo  5
aprile 2007 n. 6 e del punto 5 dell'allegato "Piano di riordino posti
letto ospedalieri", evidenziando che: "Non e' infatti  preclusa  alla
legge ordinaria, ne' a quella di fonte regionale, la possibilita'  di
attrarre  nella  propria  sfera  di  disciplina  oggetti  o   materie
normalmente  affidati  alla  autorita'   amministrativa;   ne'   cio'
determina un vulnus al diritto di difesa del cittadino riguardo  agli
effetti provvedimentali dell'atto normativo, posto che  la  posizione
soggettiva di questo trovera' la sua adeguata tutela, ovviamente  non
sul piano della giurisdizione amministrativa ma, tramite  questa,  su
quello, proprio della tipologia dell'atto in  ipotesi  lesivo,  della
giurisdizione costituzionale, dovendo  la  legittimita'  delle  leggi
provvedimento  essere  valutata  in  relazione  al   loro   specifico
contenuto in base ad un controllo stretto di costituzionalita'  sotto
i profili della non arbitrarieta' e della ragionevolezza, tanto  piu'
stringente  quanto  piu'  marcati  sono  i  profili   provvedimentali
caratteristici della legge soggetta al controllo (sentt. n.  267  del
2007, 241 del 2008)". 
    Ed  ancora,  nel  dichiarare  la  manifesta  infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 d.l. 3  dicembre
2012, n. 207, conv., con modif., in l. 24 dicembre 2012, n. 231,,  la
sentenza n. 85 del 9 maggio 2013  ha  affermato  che:  "Premesso  che
nessuna disposizione costituzionale comporta una riserva agli  organi
amministrativi o "esecutivi" degli atti  a  contenuto  particolare  e
concreto, pur se le  leggi  provvedimento  devono  soggiacere  ad  un
rigoroso scrutinio di legittimita' costituzionale per il pericolo  di
disparita' di trattamento insito in previsioni di tipo particolare  e
derogatorio, da condurre in relazione al  loro  specifico  contenuto,
fermo che non puo' essere consentito al legislatore di risolvere, con
la forma della legge, specifiche controversie  e  di  vanificare  gli
effetti  di  una  pronuncia  giurisdizionale  divenuta   intangibile,
violando i principi relativi ai rapporti  tra  potere  legislativo  e
potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei  diritti  e  degli
interessi legittimi, le disposizioni censurate non determinano alcuna
violazione della "riserva di giurisdizione" dato  che  non  incidono,
direttamente    o     indirettamente,     sull'accertamento     delle
responsabilita', e  spetta  naturalmente  all'autorita'  giudiziaria,
all'esito di  un  giusto  processo,  l'eventuale  applicazione  delle
sanzioni  previste  dalla  legge;  cio'  in  quanto  le  disposizioni
censurate  non  cancellano  alcuna  fattispecie  incriminatrice   ne'
attenuano  le  pene,  ne'   contengono   norme   interpretative   e/o
retroattive in grado di influire in  qualsiasi  modo  sull'esito  del
procedimento penale in corso sent. nn. 143 del 1989,  536  del  1990,
418 del 1992, 62, 311 del 1993, 492 del 1995, 2  del  1997,  374  del
2000, 237, 267 del 2007, 137 del 2009, 270 del 2010, 20 del 2012,  80
del 2013)". 
    Parimenti, la sentenza n. 231 del 10 ottobre 2014, nel dichiarare
la manifesta infondatezza dell'art. 2 l. reg. Molise 21  luglio  2010
n. 14, censurato, in riferimento agli art. 3, 24, comma 1, 111, comma
2, 113, comma 2, e 117, comma 7, cost. nella parte in cui prevede  la
revoca dell'incarico di Segretario generale del  Consiglio  regionale
della regione Molise "in essere" con legge, anziche' con un  atto  di
ordinaria gestione del rapporto lavorativo, ha affermato che:  "Posto
che la disposizione censurata  costituisce  una  legge-provvedimento,
come e' reso palese, sul  piano  soggettivo,  dall'unicita'  del  suo
destinatario (l'indicato dirigente in carica) e, sul piano oggettivo,
dal fatto che essa disciplina un aspetto (la revoca  di  un  incarico
dirigenziale  «in  essere»)  che  e'  normalmente  affidato  non   al
legislatore, ma  all'autorita'  amministrativa,  e'  escluso  che  il
passaggio dall'atto amministrativo alla legge comprometta il  diritto
alla tutela giurisdizionale, che sarebbe possibile invece  esercitare
in presenza di un atto dell'amministrazione, atteso che,  in  assenza
nell'ordinamento  attuale  di  una   'riserva   di   amministrazione'
opponibile al legislatore, non puo'  ritenersi  preclusa  alla  legge
ordinaria  la  possibilita'  di  attrarre  nella  propria  sfera   di
disciplina  oggetti  o  materie   normalmente   affidate   all'azione
amministrativa, con la conseguenza  che  il  diritto  di  difesa  non
risultera' annullato, ma verra' a connotarsi secondo il regime tipico
dell'atto  legislativo  adottato,  trasferendosi  dall'ambito   della
giustizia   amministrativa   a   quello   proprio   della   giustizia
costituzionale.   Ne'   tale   trasferimento   e',   di   per    se',
discriminatorio o suscettibile di alterare la parita' delle parti nel
processo, anche  considerato  che  non  e'  ravvisabile,  al  momento
dell'approvazione  della  legge,  alcuna  controversia  o   pronuncia
giurisdizionale con le quali essa potesse interferire, mentre risulta
del tutto inconferente il riferimento al parametro  di  cui  all'art.
117, comma 7, cost., rispetto  a  una  censura  con  la  quale  viene
lamentata la revoca "ex lege" di un incarico dirigenziale  senza  che
la relativa funzione sia stata soppressa (sent. n. 62 del  1993,  374
del 2000, 288 del 2008, 94 del 2009, 270 del 2010, 20 del  2012,  85,
154, 275 del 2013)". 
    Sotto  tale  aspetto,  quindi,  la  questione   di   legittimita'
costituzionale del DL. 187/2012 e del successivo art. 34-decies della
Legge 221/2012 non appare  fondata.  E'  evidente,  infatti,  che  le
disposizioni in esso contenute costituiscono una legge-provvedimento,
in quanto sono dirette a destinatari determinati (e cioe' solo coloro
che hanno stipulato  contratti  con  la  Stretto  di  Messina  spa.),
incidono su un numero determinato e limitato di destinatari ed  hanno
un contenuto particolare e  concreto.  Del  resto,  nel  disporre  la
caducazione di tutti i contratti stipulati dalla Stretto  di  Messina
spa., le disposizioni in esame hanno comportato  la  attrazione  alla
sfera legislativa  della  disciplina  di  oggetti  o  materie  (quale
appunto il recesso unilaterale  da  un  contratto  gia'  in  fase  di
esecuzione) normalmente affidati alla autorita' amministrativa. 
    Tuttavia, la sola circostanza  che  la  decisione  di  sciogliere
unilateralmente il vincolo  contrattuale  sia  stata  presa  con  uno
strumento legislativo, anziche' amministrativo, non rende di per  se'
la  norma  incostituzionale,  ne'  solleva  dubbi  di  disparita'  di
trattamento, atteso che  non  introduce  una  disciplina  derogatoria
rispetto a quella generale. Infatti, come gia' sopra evidenziato piu'
volte, sia la disciplina  generale  del  codice  civile,  sia  quella
speciale in materia di appalti pubblici riconoscono al committente la
facolta' di recedere dal contratto in ogni tempo e  per  qualsivoglia
motivo, potendo sempre decidere di non portare a  compimento  l'opera
appaltata. 
    L'utilizzo, poi, nel caso concreto  dello  strumento  legislativo
appare  giustificato  dalla  eccezionale  importanza  e  peculiarita'
dell'Opera da realizzare. Ne', peraltro, l'utilizzo di tale strumento
comporta una  violazione  dell'art.  24  della  Costituzione  ed  una
lesione del diritto di difesa delle parti contraenti,  atteso  che  -
come   evidenziato   dalla   citata   giurisprudenza   della    Corte
costituzionale - il nostro ordinamento comunque prevede uno strumento
effettivo di tutela nell'ambito della  giurisdizione  costituzionale.
Per i medesimi motivi  non  appare  configurabile  alcuna  violazione
dell'art.  47  della  Carta  dei  diritti  fondamentali   dell'Unione
europea. 
    8.2 - Sui presupposti per la decretazione di urgenza. 
    In  secondo  luogo,   la   Parsons   contesta   la   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 del DL n. 187/2012 e  del  suo  successivo
"trasferimento" nell'art. 34-decies  della  legge  221  del  2012  di
conversione del DL n. 179/2012, anche per i seguenti motivi: 
        a) carenza dei presupposti  previsti  dall'art.  77,  secondo
comma, Cost. quanto all'art. 1 del DL n. 187/2012; 
        b)  estraneita'  dell'art.  34-decies  (che   ha   riproposto
pressoche' integralmente l'art. 1 del DL  n.  187/2012)  rispetto  ai
contenuti del DL n. 179/2012, con violazione,  sotto  altro  profilo,
dello stesso art. 77 della Costituzione. 
    Orbene,  appare  infondata   la   lamentata   insussistenza   dei
presupposti per la decretazione di urgenza. 
    Giova ricordare che, per costante giurisprudenza  costituzionale,
i presupposti di necessita'  e  urgenza  di  cui  all'art.  77  della
Costituzione costituiscono requisiti di validita' dei  decreti-legge,
sicche' rientra certamente  nei  poteri  della  Corte  costituzionale
verificarne la sussistenza. Tuttavia, il  sindacato  di  legittimita'
costituzionale - basato su una pluralita'  di  indici  intrinseci  ed
estrinseci (titolo, preambolo, contenuto e ratio  del  decreto-legge,
relazione illustrativa del disegno di legge  di  conversione,  lavori
parlamentari)  -  e'  circoscritto   alla   evidente   mancanza   dei
presupposti di necessita' e urgenza, distinguendosi  il  giudizio  di
costituzionalita' dalla valutazione  prettamente  politica  spettante
alle Camere in sede  di  conversione,  poiche'  l'art.  77  Cost.  e'
connotato da un largo margine di elasticita'. 
    Di conseguenza, solo l'evidente insussistenza di  una  situazione
di  fatto  comportante  la  necessita'  e  l'urgenza  di   provvedere
determina tanto un vizio  del  decreto  legge,  quanto  un  vizio  in
procedendo della legge che ne disponga  la  conversione  (cfr.  Corte
costituzionale, sentenze n. 170 del 2017, n. 93 del 2011, n. 171  del
2007 e n. 29 del 1995). 
    Peraltro, la straordinaria  necessita'  ed  urgenza  non  postula
inderogabilmente   un'immediata   applicazione   delle   disposizioni
normative contenute nel decreto-legge, ma  ben  puo'  fondarsi  sulla
necessita' di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato  sia
per qualche aspetto necessariamente differito (Corte  costituzionale,
sentenza n. 16 del 2017). 
    Cio' posto, il decreto legge n. 187 del 2 novembre 2012  riporta,
quale titolo, "Misure  urgenti  per  la  ridefinizione  dei  rapporti
contrattuali con la Societa' Stretto di Messina S.p.A ed  in  materia
di trasporto pubblico locale". Nel  preambolo,  poi,  viene  premesso
che: "Visti gli articoli 77 e  87  della  Costituzione;  Ritenuta  la
straordinaria necessita' ed urgenza di garantire,  in  considerazione
dell'attuale stato di tensione nei mercati finanziari internazionali,
la verifica, a tutela della finanza  pubblica,  della  sostenibilita'
del piano economico finanziario del  collegamento  stabile  viario  e
ferroviario  tra  Sicilia  e  Continente,  anche  in  relazione  alle
modalita'  di  finanziamento   previste;   Ritenuta,   altresi',   la
straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni volte  ad
evitare l'interruzione dei servizi di  trasporto  pubblico  locale  e
ferroviari regionali, assicurando, per l'esercizio 2012,  l'immediato
trasferimento alle regioni delle risorse  allo  scopo  destinate...".
Infine, all'art. 1, comma  1  viene  specificato  che  l'esigenza  di
provvedere con decretazione d'urgenza  e'  sorta  "In  considerazione
dell'attuale  condizione   di   tensione   dei   mercati   finanziari
internazionali  che  impone,  a  tutela   della   finanza   pubblica,
particolari esigenze di cautela nella verifica  della  sostenibilita'
del piano economico finanziario del  collegamento  stabile  viario  e
ferroviario tra Sicilia e Continente (di  seguito  Ponte),  anche  in
relazione alle  modalita'  di  finanziamento  previste,  la  Societa'
Stretto  di  Messina  S.p.A.  ed  il  Contraente  generale  stipulano
apposito atto aggiuntivo al contratto vigente per l'attuazione  delle
disposizioni contenute nel presente articolo". 
    Sicche', gli elementi contenuti sia nel titolo che nel  preambolo
del decreto legge in questione, sia nell'art. 1, comma 1 -  anche  in
considerazione del contesto in cui lo  stesso  si  inserisce,  atteso
l'eccezionale costo dell'Opera da realizzare - non fanno ritenere che
il Governo, prima, e il Parlamento, poi, abbiano  ecceduto  i  limiti
dell'ampio margine di discrezionalita'  che  spetta  loro,  ai  sensi
dell'art. 77, secondo comma, Cost., nel  valutare  i  presupposti  di
straordinaria necessita' e urgenza che giustificano l'adozione di  un
decreto legge in materia. 
    A tal fine e' sufficiente osservare che il  solo  costo  iniziale
dell'Opera era stato indicato, nel Contratto del 27 marzo 2006, in un
importo pari ad € 3.879.599.733,00, avendo ad oggetto (come affermato
nello stesso atto di citazione) la realizzazione del  maggiore  ponte
sospeso mai realizzato al mondo. E' fatto notorio, inoltre, la  crisi
cd. del debito sovrano, che ha colpito i paesi dell'area Euro tra  il
2010 ed  il  2011,  derivante  dalla  crisi  del  settore  dei  mutui
residenziali statunitensi. Ed infatti, come e'  possibile  apprendere
da studi della Consob,  in  seguito  alla  crisi  subprime,  numerosi
istituti di credito europei hanno sperimentato  gravi  difficolta'  e
sono stati  salvati  da  interventi  pubblici.  Questi  ultimi  hanno
esacerbato  gli  squilibri  di  finanza  pubblica  dei   Paesi   piu'
vulnerabili, concorrendo  a  provocare  una  contrazione  del  PIL  a
livello globale dell'uno per cento circa nel  2009.  In  particolare,
mentre i principali paesi in via di sviluppo hanno  sperimentato  una
significativa  riduzione  dei  propri  tassi  di  crescita,  i  paesi
industrializzati hanno registrato una variazione del prodotto interno
lordo negativa. Per l'Italia la contrazione del prodotto nel 2009  e'
risultata prossima al 5 per cento, configurando una delle piu'  gravi
recessioni dal dopoguerra. 
    8.3 - Sul procedimento di conversione in legge  del  DL  187  del
2012. 
    Quanto, poi, alla circostanza che il DL 187/2012  non  sia  stato
convertito  con  una  legge  di  conversione  a  cio'  specificamente
dedicata, ma aggiungendo un articolo (art. 34-decies) ad altra  legge
dedicata a materia diversa (Legge n. 221/2012), tale  aspetto  appare
meramente formale e non idoneo a determinare una violazione di  norme
costituzionali. 
    Ed infatti, il testo del  DL  187  del  2  novembre  2012  e'  il
seguente: 
        Art. 1 - Disposizioni  in  materia  di  collegamento  stabile
viario e ferroviario tra Sicilia e continente 
        1. In considerazione dell'attuale condizione di tensione  dei
mercati finanziari internazionali che impone, a tutela della  finanza
pubblica,  particolari  esigenze  di  cautela  nella  verifica  della
sostenibilita'  del  piano  economico  finanziario  del  collegamento
stabile viario e ferroviario tra Sicilia  e  Continente  (di  seguito
Ponte), anche in relazione alle modalita' di finanziamento  previste,
la Societa' Stretto di  Messina  S.p.A.  ed  il  Contraente  generale
stipulano  apposito  atto  aggiuntivo  al   contratto   vigente   per
l'attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo. 
        2. Entro sessanta giorni dalla stipula  dell'atto  aggiuntivo
la Societa' Stretto di Messina S.p.A. presenta al CIPE, ai fini di un
primo esame in linea  tecnica  del  progetto  definitivo  dell'opera,
unitamente agli elaborati  tecnici  nonche'  ai  necessari  pareri  e
autorizzazioni, i piani  economico  finanziari  accompagnati  da  una
completa  e  dettagliata  analisi  dell'intervento  che  attesti   la
sostenibilita' dell'investimento, con riguardo  sia  alle  condizioni
praticate  nel  mercato  dei  capitali  sia  alle  varie  ipotesi  di
finanziamento pubblico.  Il  CIPE  in  sede  di  esame  tecnico  puo'
valutare parti progettuali dotate di autonoma funzionalita'. 
        3.  In  esito  all'esame  in  linea  tecnica   del   progetto
definitivo dell'intervento, la societa'  Stretto  di  Messina  S.p.a.
avvia le  necessarie  iniziative  per  la  selezione  della  migliore
offerta di finanziamento dell'infrastruttura  con  capitali  privati,
senza che cio' dia luogo ad impegni contrattuali  vincolanti  per  la
concessionaria.  In  caso  di  mancata  individuazione  del  soggetto
finanziatore entro il termine per l'esame del progetto definitivo  di
cui al comma 4, sono caducati tutti gli atti che regolano i  rapporti
di  concessione,  nonche'  le  convenzioni  ed  ogni  altro  rapporto
contrattuale  stipulato  dalla  societa'  concessionaria.   In   tale
circostanza, a definitiva e completa tacitazione di  ogni  diritto  e
pretesa, gli  effetti  della  caducazione  dei  vincoli  contrattuali
comportano  esclusivamente  il  riconoscimento   di   un   indennizzo
costituito    dal    pagamento    delle    prestazioni    progettuali
contrattualmente previste e direttamente eseguite e dal pagamento  di
una ulteriore somma pari al 10 per cento dell'importo predetto. 
        4. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto  fino
all'approvazione del progetto definitivo  da  parte  del  CIPE  delle
opere come individuate dal comma 2, entro e non oltre  i  540  giorni
successivi al completamento dell'esame del progetto in linea tecnica,
tutti gli effetti dei contratti stipulati dalla Societa'  Stretto  di
Messina S.p.A. con  il  Contraente  generale  e  gli  altri  soggetti
affidatari dei servizi connessi alla  realizzazione  dell'opera  sono
sospesi e per il periodo di sospensione non potranno essere  avanzate
dai contraenti pretese  risarcitorie  o  di  altra  natura  a  nessun
titolo. Sono altresi' sospesi gli adeguamenti economici  a  qualsiasi
titolo previsti. Per le parti progettuali non esaminate dal  CIPE  la
sospensione degli effetti  contrattuali  permane,  con  le  modalita'
sopra  indicate,  fino  al  reperimento  della  integrale   copertura
finanziaria. Le  parti  dovranno  improntare  il  loro  comportamento
secondo i principi della buona fede. 
        5. La mancata approvazione del progetto definitivo dell'opera
da parte del CIPE, ai sensi del comma 4, comporta la  caducazione  di
tutti gli atti che regolano i rapporti  di  concessione,  nonche'  le
convenzioni ed  ogni  altro  rapporto  contrattuale  stipulato  dalla
societa' concessionaria, secondo le modalita' e per  gli  effetti  di
cui al comma 3. 
        6.  La  Societa'  Stretto  di  Messina  S.p.A.  puo'   essere
autorizzata, previa approvazione dei progetti definitivi da parte del
CIPE, ad eseguire  lavori  infrastrutturali  funzionali  all'esigenza
dell'attuale  domanda  di  trasporto  anche  in   caso   di   mancata
realizzazione del Ponte, ricompresi nel progetto definitivo generale,
a carico del bilancio  dello  Stato  nei  limiti  delle  risorse  che
saranno individuate con successivi provvedimenti. 
        7. Con atto di indirizzo del Ministro dell'economia  e  delle
finanze, di concerto con  il  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti,  sono  impartite   direttive   finalizzate   all'immediato
contenimento dei costi di gestione  e  di  personale  della  societa'
Stretto di Messina S.p.a. 
        8. Nel caso in cui l'atto aggiuntivo di cui al  comma  1  non
venga stipulato entro il termine perentorio del 1°  marzo  2013  sono
caducati, con effetto dalla data di entrata in  vigore  del  presente
decreto, tutti gli atti  che  regolano  i  rapporti  di  concessione,
nonche' le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale  stipulato
dalla societa' concessionaria secondo le modalita' e per gli  effetti
di cui al comma 3. 
        9. Nei casi di caducazione di cui ai commi  3,  5  e  8,  con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,  su  proposta  del
Ministro dell'economia  e  delle  finanze,  la  Societa'  Stretto  di
Messina S.p.a. e' posta in liquidazione e, per lo  svolgimento  delle
attivita' liquidatorie, e' nominato un  commissario  liquidatore  che
dovra' concludere le operazioni entro  e  non  oltre  un  anno  dalla
nomina. 
        10.  Agli  oneri   derivanti   dagli   eventuali   indennizzi
conseguenti all'attuazione del presente articolo si provvede mediante
utilizzo dell'autorizzazione di spesa di cui  all'articolo  61  della
legge  27  dicembre  2002,  n.  289,  e  successivi  rifinanziamenti,
relativa al Fondo per lo sviluppo e  la  coesione.  A  tale  fine  le
risorse del Fondo sono coerentemente riprogrammate dal CIPE a  valere
sulle assegnazioni destinate al Ministero delle infrastrutture e  dei
trasporti. 
    Tutte le suddette disposizioni risultano recepite nella legge  17
dicembre 2012 n. 221, di conversione del decreto  legge  n.  179  del
2012 (ulteriori misure per la crescita del Paese),  che  ha  inserito
nel testo del  decreto  in  conversione  l'art.  34-decies  rubricato
"Disposizioni in materia di collegamento stabile viario e ferroviario
tra  Sicilia  e  continente",  il  cui   testo   e'   sostanzialmente
coincidente con quello dell'art. 1 del DL. 187/2012. 
    In particolare, il testo dell'art. 34-decies della Legge  n.  221
del 17 dicembre 2012 (pubblicata nella GU del 18 dicembre 2012) e' il
seguente: 
        Art.  34-decies  Disposizioni  in  materia  di   collegamento
stabile viario e ferroviario tra Sicilia e continente